La Cassazione ha affermato che il valore dei beni sottratti può avere rilievo penale anche se inferiore a questa cifra
Il valore dei beni sottratti fraudolentemente al pagamento delle imposte può assumere rilevanza penale anche quando sia inferiore all’ammontare di 50.000 euro, dal momento che la soglia di punibilità, prevista dall’art. 11 del DLgs. 74/2000, va riferita al credito verso l’Erario e non al bene sottratto. L’offensività della condotta va, dunque, parametrata esclusivamente in base alla sua attitudine a ridurre o eliminare la garanzia patrimoniale, secondo un giudizio che valuti tale idoneità ancor prima dell’effettiva lesione del bene tutelato (ex ante).
Tale principio di diritto viene affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 15133 depositata ieri.
Nel caso di specie la sottrazione dei beni oscillava tra 44.000 e 33.000 euro a fronte di una procedura di riscossione di un credito erariale superiore a 200.000 euro.
Il focus della decisione in commento è volto a separare la quantificazione della soglia di punibilità rispetto alla condotta di sottrazione fraudolenta, legandola invece all’effettiva consistenza del debito erariale e della garanzia patrimoniale dello stesso.
Va ricordato, in proposito, che, ai sensi dell’art. 11 del DLgs. 74/2000, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a 50.000 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni e interessi è superiore a 200.000 euro, si applica la reclusione da un anno a sei anni.
Il bene giuridico tutelato è individuabile non tanto nel diritto di credito in favore del Fisco, quanto nel diritto di garanzia che tale credito possa essere soddisfatto. Si tratta, in tal senso, di un reato di pericolo, ove l’idoneità della condotta va letta come capacità qualitativa e quantitativa degli atti posti in essere di vanificare in tutto o in parte, ovvero di rendere più difficoltosa, l’eventuale procedura esecutiva (cfr., tra le altre, Cass. n. 35853/2016).
Nella sistematica del diritto penale tributario del DLgs. 74/2000 vengono, infatti, individuate e tutelate le varie fasi dell’obbligazione tributaria, dalla genesi alla sua esecuzione: dall’obbligo di dichiarare i fatti costitutivi dell’obbligazione e il suo oggetto e di farlo in modo corrispondente al vero, a quello di adempiere all’obbligazione tributaria nei tempi e modi previsti e di documentare fedelmente le operazioni fiscalmente rilevanti che incidono sull’esistenza e sulla quantificazione dell’obbligazione, fino al dovere di conservaretale documentazione e, infine, di preservare la riscossione del credito erariale da attività volte a depauperare in modo fraudolento la garanzia costituita dal patrimonio del debitore.
La fattispecie prevista dal citato art. 11 si ascrive a quest’ultima fase della vita dell’obbligazione tributaria. Attraverso l’incriminazione della condotta prevista, si vuole evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario (cfr. Cass. n. 36290/2011).
La sentenza in esame precisa che il fatto che il legislatore abbia inteso selezionare, ai fini penali, solo le condotte che pongono in pericolo la riscossione delle imposte (comprensive di sanzioni e interessi ad esse relativi) complessivamente superiori all’ammontare di 50.000 euro “non autorizza l’interpretazione secondo la quale anche il valore del bene simulatamente alienato deve essere superiore a detto ammontare”.
La possibilità che la procedura di riscossione possa essere pregiudicata “in tutto o in parte” comporta necessariamente – secondo i giudici di legittimità – che il valore del bene possa essere inferiore al credito erariale. Va anche evidenziato che la Cassazione si allinea qui a quell’orientamento per cui la soglia di punibilità rappresenta un elemento costitutivo del reato, ma il suo superamento va unicamente riferito a quanto dovuto al Fisco.
Una diversa interpretazione rischierebbe di creare una “zona franca” costituita dalla differenza tra l’importo complessivo del debito erariale e la soglia di punibilità. Ad esempio, il contribuente sarebbe sostanzialmente legittimato a diminuire la garanzia del debito con alienazioni simulate di valore singolarmente inferiore a 50.000 euro.
Conseguenza ancora più assurda, per la Cassazione, sarebbe l’irrilevanza penale dell’ipotesi di un credito pari a 50.100 euro a cui segua una sottrazione fraudolenta di beni per una somma pari a 49.000 euro. Proprio facendo leva sul principio di offensività e sul dato letterale della norma, viene invece valorizzato il fatto che, in tal caso, vi sarebbe certamente un pregiudizio – se non totale, quanto meno per una gran parte – rispetto all’efficace riscossione delle imposte.