Sempre più frequente è la contestazione, da parte di alcune procure, del reato di peculato connesso all’omesso versamento dell’imposta di soggiorno incassata dagli albergatori.

Il delitto di peculato è previsto dall’art. 314 c.p. tra i reati contro la Pubblica Amministrazione e può essere commesso unicamente da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio (a differenza della fattispecie di appropriazione indebita prevista dall’art. 646 c.p. che, analoga nella condotta, può essere commessa da qualunque privato cittadino).
In particolare, la norma prevede che sia punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria.
Per essere ritenuto responsabile di tale reato, il titolare di un’attività alberghiera chiamato a riscuotere l’imposta dovrà essere identificato come “incaricato di pubblico servizio” ai sensi dell’art. 358 c.p.

Va ricordato che l’imposta di soggiorno, introdotta dall’art. 4 del DLgs. 23/2011, può essere istituita da: Comuni capoluogo di Provincia; unioni di Comuni; Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte. L’imposta è a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate nel territorio del Comune che l’ha istituita e deve essere applicata secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a cinque euro per ogni notte di soggiorno.

La qualificazione dell’albergatore come incaricato di pubblico servizio – piuttosto dibattuta in dottrina – ha trovato accoglimento presso diverse sentenze di merito ed è stata recepita anche dalla giurisprudenza di legittimità.
Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
Per tale deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale (art. 358 c.p.).

L’attività di riscossione dell’imposta può, dunque, essere considerata un’attività amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, dal momento che l’incasso e il successivo versamento della stessa non si esauriscono di certo in attività meramente materiale, implicando, quantomeno, un’attività di attestazione del verificarsi del presupposto dell’imposta, di concreto esercizio della pretesa di pagamento ed ancora dell’attestazione dell’avvenuto versamento (e dunque riscossione) o non versamento (e dunque non riscossione) della medesima (Trib. Firenze 2 febbraio 2016).

L’attività di riscossione, sebbene compiuta da un privato, si accompagna a precedenti condotte di accertamento del presupposto dell’imposta e a successive attività di registrazione dell’importo riscosso che richiedono un bagaglio di nozioni tecniche, normative e di esperienza che esulano dall’esercizio di mansioni esclusivamente materiali o di ordine.
Riveste, pertanto, la qualità di incaricato di pubblico servizio l’amministratore e/o il legale rappresentante di una società privata che, anche in assenza di preventivo, specifico incarico da parte della Pubblica Amministrazione, proceda effettivamente e materialmente alla riscossione dell’imposta di soggiorno, in considerazione della natura prettamente pubblicistica della sua attività derivante da norme di diritto pubblico istitutive di detta imposta (Cass. n. 53467/2017).

Sul punto si potrebbero porre questioni relative al principio di specialità di cui all’art. 9 della L. 689/1981, secondo il quale, quando uno stesso fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione amministrativa, si applica la disposizione speciale e il fatto dovrebbe quindi essere sanzionato esclusivamente in via amministrativa.

Con effettiva appropriazione delle somme si può applicare l’illecito penale

Laddove, però, la condotta addebitata all’indagato non sia quella del semplice omesso versamento di quanto riscosso a titolo di imposta di soggiorno ma quella, ben diversa e più grave, di effettiva appropriazione delle relative somme, che non trova alcuna sanzione, diretta o indiretta, nella normativa fiscale o amministrativa o nel Regolamento del Comune, non si tratterà di concorso apparente di norme e potrà essere autonomamente applicato l’illecito penale.