Fraudolento l’uso del rogito notarile che riporta il prezzo della compravendita falso
Al superamento delle prescritte soglie di punibilità, gli atti di compravendita di immobili recanti un prezzo inferiore rispetto a quello reale integrano la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del DLgs. 74/2000), dal momento che l’elemento fraudolento che trasporta la condotta al di fuori della mera infedeltà è da ravvisare nell’utilizzazione del rogito notarile.
Ad affermarlo è la Cassazione nella sentenza n. 11263/2018.
Nel caso di specie, il titolare di un’impresa immobiliare veniva condannato, sia in primo grado che in appello, per la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del DLgs. 74/2000), essendosi appurato che per quattro compravendite concluse nel corso del 2007 il prezzo indicato era più basso di quello effettivamente percepito. Le differenze di importo, infatti, non risultavano nella relativa dichiarazione e l’entità complessiva del non dichiarato era tale da determinare il superamento di entrambe le soglie di punibilità previste dall’art. 3 del DLgs. 74/2000, nella versione al tempo vigente.
Contro tale decisione, l’imputato ricorreva per Cassazione sottolineando come i fatti avrebbero dovuto essere ricondotti nell’alveo della meno grave dichiarazione infedele ex art. 4 del DLgs. 74/2000. La condotta perpetrata, infatti, non poteva ritenersi sufficiente per l’integrazione della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, essendo necessario non solo il riscontro oggettivo della differenza di prezzo, ma anche l’utilizzo di mezzi fraudolenti; laddove la condotta di sottofatturazione e di omessa annotazione dei corrispettivi poteva essere considerata artificiosa solo se “sistematica” e se “circostanze di contorno” (ad esempio, una contabilità in nero) le conferivano una particolare “insidiosità”. Nella specie, invece, nessuna contabilità in nero era stata rinvenuta e anche la sistematicità era da escludere, dal momento che la sottofatturazione era stata accertata per 4 compravendite su 11 complessive.
La Suprema Corte reputa il ricorso manifestamente infondato.
Si ritiene, infatti, che – quanto alla collocazione del fatto nell’ambito applicativo dell’art. 3 e non in quello dell’art. 4 del DLgs. 74/2000 – la “fraudolenza” costituente quel quid pluris che ne determina la configurabilità sia rappresentata dall’aver utilizzato per porre in essere la condotta illecita dei rogiti notarili.
E si ricorda come affermare in un rogito notarile, contrariamente al vero, che il bene giuridico trasferito sia rappresentato da una somma di denaro significa per ciò solo prospettare una situazione autonomamente produttiva di effetti giuridici rilevanti. Analogamente, l’aver indicato nel rogito notarile un prezzo di vendita inferiore rispetto a quello reale ha sicuramente rilevanza giuridica, trattandosi di operazione posta in essere avvalendosi di documenti “falsi”, nella specie rilevando la falsità ideologica dell’atto pubblico.
A ulteriore supporto di tale argomentare, si evidenzia come, sia pure in tema di dichiarazione fraudolenta mediante documenti falsi (ex art. 2 del DLgs. 74/2000), ma con argomentazioni ritenute valide anche per il delitto di cui al previgente art. 3, sia stato stabilito che lo stesso sarebbe configurabile ogniqualvolta il contribuente, per effettuare una dichiarazione fraudolenta, si avvalga di fatture o altri documenti attestanti operazioni non realmente effettuate, non rilevando la circostanza che la falsità sia ideologica o materiale (cfr. Cass. n. 2156/2012).
La decisione in commento sembra irrigidire la posizione assunta in un caso analogo dalla Cassazione n. 2292/2013, secondo la quale, non potendosi qualificare come mezzo fraudolento la condotta di sottofatturazione dei ricavi, per l’integrazione della fattispecie in questione occorre qualcosa di ulteriore (un quid pluris, appunto) che consenta di attribuire all’elemento oggettivo una valenza di insidiosità. Elemento ulteriore che, nella specie, era stato individuato nella predisposizione, da parte dell’imputato, di un articolato e complesso sistema di mistificazione del vero, connotato da pagamenti in nero e dall’omessa registrazione dei preliminari riportanti il prezzo reale, onde impedire l’individuazione dei maggiori ricavi.
Tali indicazioni, come evidenziato, attengono alla previgente fattispecie, caratterizzata da una struttura trifasica: falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie; utilizzo di “mezzi fraudolenti” idonei ad ostacolare l’accertamento della falsità; indicazione nella dichiarazione dei redditi o ai fini IVA di elementi attivi inferiori a quelli effettivi o di elementi passivi fittizi.
Le condotte in questione, peraltro, appaiono rilevanti anche, anzi, a maggior ragione, nell’attuale fattispecie, come sostituita dall’art. 3 comma 1 del DLgs. 158/2015. Questa presenta struttura bifasica, occorrendo, oltre all’indicazione nella dichiarazione dei redditi o ai fini IVA di elementi attivi inferiori a quelli effettivi o di elementi passivi fittizi, “alternativamente” le seguenti condotte: operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente; utilizzo di documenti falsi (quali potrebbero essere proprio i contratti di compravendita recanti dati non conformi al vero); utilizzo di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’Amministrazione finanziaria. Ciò a prescindere dalle soglie; anch’esse riviste.