Sull’amministratore di fatto gravano gli stessi obblighi dell’amministratore di diritto
Possono concorrere tra loro e, dunque essere contestati entrambi a un medesimo soggetto, il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all’art. 10 del DLgs. 74/2000, e il reato di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’art. 216 comma 1 n. 2 del RD 267/1942.
Tale principio, già esplicitato dalla giurisprudenza negli anni più recenti, viene ripetuto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11049 depositata ieri, in un caso in cui erano stati contestati tali reati al legale rappresentante (e liquidatore) e all’amministratore di fatto di una srl. Dagli accertamenti era emerso che le scritture contabili erano state tenute fino al novembre del 2009, per poi essere sottratte o distruttesubito dopo la dichiarazione di fallimento, intervenuta il 23 dicembre di quel medesimo anno.
Secondo la Cassazione, la condotta di occultamento o distruzione delle scritture contabili richiede, per essere rilevante nel diritto penale tributario, l’impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta.
Diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216 comma 1 n. 2 del RD 267/1942 si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi dei creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative.
Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altri ingiusto profitto o, alternativamente, di recare pregiudizio ai creditori; finalità non presente nella fattispecie fiscale (cfr. Cass. nn. 18927/2017 e 3539/2016).
Divergono, quindi, sia l’oggetto materiale degli illeciti (scritture contabili obbligatorie ai fini fiscali/in generale), sia i destinatari del precetto penale (contribuente/imprenditore), sia l’oggetto del dolo specifico (evasione/ingiusto profitto o pregiudizio dei creditori), sia il bene tutelato (obbligo tributario/tutela dei creditori). Né l’Erario potrebbe essere ricondotto a un mero creditore fallimentare, stante la tutela rafforzata di cui gode il suo credito.
Tra l’altro, un problema di eventuale sovrapposizione si potrebbe porre solo in relazione a condotte di sottrazione o di distruzione, restando estranee all’art. 10 del DLgs. 74/2000 quelle di falsificazione (che sono invece incluse nell’ambito della bancarotta).
Si tratta, dunque, di fattispecie volte a tutelare interessi differenti e dunque non attinenti alla “stessa materia”, come prevista dall’art. 15 c.p. che, sancendo il principio di specialità, esclude il concorso di reati laddove una fattispecie contenga tutti gli elementi dell’altra più alcuni “specializzanti” per aggiunta o per specificazione.
Le due norme citate, invece, appaiono caratterizzate da una specialità reciproca, dal momento che ciascuna contiene elementi specializzanti rispetto all’altra.
Se così è, nel punire entrambe le condotte con le rispettive sanzioni, non si pone alcun tema di violazione del principio di “ne bis in idem”, stabilito dall’art. 649 c.p.p., nemmeno nella sua accezione sostanziale (cfr.Corte Cost. n. 200/2016).
Altro spunto interessante che emerge dalla sentenza in commento è quello relativo alla responsabilità per i reati fallimentari dell’amministratore “di fatto”. Tale tema, tra l’altro, viene toccato anche da un’altra pronuncia della Cassazione depositata ieri, la n. 11053, sempre con riferimento a una condotta di bancarotta fraudolenta documentale.
Secondo la giurisprudenza prevalente, l’amministratore di fatto della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto; di conseguenza, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Cass. n. 39593/2011).
Tra tali doveri rientra anche l’obbligo di curare la corretta tenuta dei libri e delle scritture contabili, ovvero di controllarne la gestione laddove la loro tenuta sia affidata ad un professionista terzo.
Grava, dunque, sull’amministratore di fatto una posizione di garanzia, da cui può sorgere una responsabilità penale tributaria e/o fallimentare; posizione di garanzia che si può sommare, senza escluderla, a quella dell’amministratore di diritto.