Non corretto fare affidamento solo sulle informazioni ricevute dagli amministratori
La funzione di sindaco di una spa quotata è certamente incarico di grande prestigio, ma anche di estrema responsabilità, e non può assolutamente essere affrontato a cuor leggero, rischiandosi, altrimenti, sanzioni di particolare gravità. Ne costituisce esempio significativo la sentenza n. 5914 della Cassazione, depositata ieri, che conferma per i componenti del Collegio sindacale di una nota società assicurativa quotata sanzioni per importi superiori a 700.000 euro per violazioni delle disposizioni dettate dall’art. 149 comma 1 del DLgs. 58/1998. Decisione dalla quale emerge come i doveri di vigilanza dei sindaci di società quotate riconosciuti dalla citata disposizione non si attuino solo sulla base dei dati forniti dagli amministratori, con periodicità almeno trimestrale, sulle principali operazioni finanziarie, economiche e patrimoniali, ma anche attraverso l’esercizio dei propri – ampi – poteri d’indagine.
Si evidenzia, in particolare, come la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società quotata (nella specie connotata dal controllo di oltre 120 società) non possa comportare l’esclusione o il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo di ogni componente del controllo sindacale. Il quale, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, è sanzionabile a titolo di concorso omissivo, gravando su di esso, da un lato, l’obbligo di vigilanza, e, dall’altro, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Consob (cfr. Cass. SS.UU. n. 20934/2009 e, più di recente, Cass. n. 5357/2018).
I sindaci, inoltre, hanno l’obbligo di partecipare alle riunioni del CdA e del Comitato esecutivo, e, ex art. 151del DLgs. 58/1998, il potere/dovere di svolgere ispezioni e controlli e di chiedere notizie agli amministratori, anche con riferimento alle società controllate, sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, con assunzione di un ruolo non limitato alla ricezione di quanto deve pervenire per legge dagli amministratori, ma attivo nella ricerca dei necessari elementi di valutazione.
A rilevare, quindi, non è un controllo sul “merito” delle scelte gestionali, ma l’omesso esercizio degli ampi poteri ispettivi e di monitoraggio della gestione che la legge impone ai sindaci, anche mediante comunicazioni alla Consob. Tanto più in un contesto – come era quello del caso di specie – caratterizzato da operazioni effettuate al di fuori dell’oggetto sociale e con il coinvolgimento di parti correlate ovvero a fronte di situazioni di potenziale conflitto di interessi nell’ambito di una società quotata assicurativa; attività per il cui svolgimento è requisito essenziale l’esistenza di un capitale o fondo di garanzia di ammontare non inferiore a quanto indicato dai regolamenti ISVAP ed in relazione al quale vanno valutate con particolare attenzione le operazioni di carattere speculativo e a rischio di perdite economiche.
Si precisa, inoltre, come, anteriormente al Regolamento Consob n. 17221/2010 sulle operazioni con parti correlate, la previsione, sulla base del Codice di autodisciplina, di funzioni consultive al Comitato di controllo interno, non riduceva tale intervento ad una mera verifica formale, lasciando emergere unicamente la sua non vincolatività.
Tale attività di controllo, quindi, era necessaria al fine di rilevare la trasparenza e la correttezza delle operazioni in questione, con la conseguenza che la verifica dell’esistenza e della effettività di essa costituiva parte integrante dei compiti di vigilanza del Collegio sindacale. Peraltro, il controllo del Comitato di controllo interno non poteva non investire anche la sostanza economica dell’operazione; ciò non in forza di un’applicazione retroattiva del citato Regolamento Consob, ma sulla base delle migliori pratiche in allora vigenti (Codice di autodisciplina delle società quotate, Raccomandazione della Commissione UE n. 162/2005 e Principi OCSE sulla corporate governance).
La Suprema Corte, infine, a fronte della eccepita tardività delle contestazioni, ribadisce come, in tema di sanzioni amministrative, e, in particolare, per le violazioni della disciplina in materia di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti (da parte della Consob), non coincida, necessariamente ed automaticamente, né con il giorno in cui ha termine l’attività ispettiva, né con quello in cui è depositata la relazione dell’indagine, né con quello in cui la Commissione la esamina, dal momento che la “constatazione” dei fatti non comporta, di per sé, il loro “accertamento”.
Ed allora, se la relazione ed il suo esame devono essere compiuti nei termini strettamente indispensabili, senza ingiustificati ritardi, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto tradursi in accertamento deve essere individuato alla luce delle peculiarità del caso concreto (cfr. Cass. n. 25836/2011e, più di recente, Cass. n. 4642/2018).
In particolare, nell’individuazione della data dell’esito del procedimento relativo a più violazioni connesse deve essere valutato il complesso degli accertamenti compiuti dall’amministrazione procedente e la congruità del tempo complessivamente impiegato in relazione alla “complessità” degli accertamenti medesimi (cfr. Cass. n. 21114/2012).