Da accertare in concreto la sussistenza dei «mezzi fraudolenti»

Il rapporto tra sequestro penale del profitto e procedimento tributario, la definizione di “mezzi fraudolenti” dopo la riforma introdotta dal DLgs. 158/2015 e l’evoluzione della nozione di “abuso del diritto” sono i principali temi toccati dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 10416 depositata ieri.

A fronte della contestazione del reato di dichiarazione fraudolenta (art. 3 del DLgs. 74/2000) commesso dai legali rappresentanti di due società appartenenti al medesimo gruppo, era stato confermato il sequestro preventivo sui conti correnti e sui beni delle società e dei soci/amministratori per una somma complessiva di quasi due milioni di euro.
Contestualmente, però, vi erano state due pronunce della Commissione tributaria da cui emergeva l’assenza di un qualsiasi risparmio e/o evasione e di qualsiasi finalità fraudolenta del contratto di affitto che faceva da perno alle attività illecite contestate.

La Corte si sofferma, perciò, innanzitutto sulla nozione di profitto dei reati tributarie sul rapporto tra l’accertamento di tale profitto e quanto stabilito nel procedimento tributario.
Viene, innanzitutto, ricordato che il sequestro va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di “profitto”, costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo. A tal fine, la quantificazione di detto risparmio è comprensiva del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (Cass. n. 45849/2012).

Con particolare riferimento alla c.d. “frode fiscale”, il sequestro non può avere a oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché si impone la valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto, come avviene in sede di confisca definitiva (Cass. n. 1893/2012).

In sede di misure cautelari spetta, dunque, al giudice del riesame il compito di valutare la corretta determinazione dell’entità del profitto. In tale accertamento possono, però, incidere sia lo sgravio fiscale sia la sentenza non definitiva del giudice tributario, pur senza inficiare la logica dell’autonomia tra i procedimenti. In realtà, i giudici di legittimità sembrano spingersi ancora oltre nella sentenza oggi in commento, ritenendo applicabile a tutti i reati tributari il principio sancito nell’ambito della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, per cui l’avvenuto annullamento dell’atto impositivo da parte della Commissione tributaria, di fatto, comporta il venir meno della pretesa erariale e quindi del profitto del reato da sottoporre a sequestro (Cass. n. 39187/2015; da non confondere con il caso della mera sospensione di esecutività della cartella esattoriale, per cui si veda Cass. n. 19994/2017).

Mezzo fraudolento elemento costitutivo della fattispecie

Trattando, poi, della natura fraudolenta della condotta richiesta dall’art. 3 del DLgs. 74/2000, la Cassazione si sofferma sulla questione della sussistenza del “mezzo fraudolento” quale elemento costitutivo della fattispecie. In tale nozione rientrano oggi quelle condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà (art. 1 lett. g-ter) del DLgs. 74/2000); nozione che va letta in combinato disposto con il nuovo art. 3 che esclude espressamente che vi possano rientrare le semplici violazioni degli obblighi di fatturazione ovvero i fenomeni di sottofatturazione.

La Cassazione ritiene in proposito necessario soffermarsi sulle differenze tra operazioni simulate e operazioni elusive, non più penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 10-bis della L. 212/2000. Secondo tale nuova disposizione, configurano “abuso del diritto” una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi indebiti; mentre non si considerano abusive le operazioni giustificate da valide ragioni economiche, non marginali, anche di ragione organizzativa o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.

La giurisprudenza ha già precisato che rimane impregiudicata la possibilità di ravvisare illeciti penali nelle operazioni contrastanti con disposizioni specifiche che perseguano finalità antielusive; così come rimane salva la possibilità di ritenere che operazioni qualificate in precedenza dalla giurisprudenza come semplicemente elusive integrino ipotesi di vera e propria evasione ai sensi del riformato art. 3 del DLgs. 74/2000 (tra le altre, Cass. nn. 40272/2015 e 48293/2016).
Occorrerà, dunque, di volta in volta, valutare, e conseguentemente motivare, in casi come quello in esame, sull’esistenza dei “mezzi fraudolenti” nei termini precisati dalla Cassazione.