Depositate ieri le motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite resa nota a gennaio
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 10424, depositata ieri, hanno stabilito che, in tema di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, ex art. 2comma 1-bis del DL 463/1983, come sostituito dall’art. 3 comma 6 del DLgs. 8/2016, l’importo complessivo superiore a 10.000 euro annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi ovvero con riguardo al periodo di tempo che va dal 16 gennaio al 16 dicembre di ogni anno (“civile”), relativamente alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell’anno precedente e nel novembre dell’anno in corso. Soluzione anticipata con l’Informazione provvisoria 18 gennaio 2018 n. 1.
Sul calcolo di tale soglia è emersa una differente impostazione tra l’INPS (e il Ministero del Lavoro), da un lato, e la Cassazione, dall’altro. Quest’ultima, in diverse sentenze (cfr. Cass. nn. 22140/2017 e 56432/2017), ha disposto che, per accertare il superamento della soglia di punibilità, il periodo di un anno è da intendersi come quello nel quale il debito sia sorto, secondo un principio di competenza e non di cassa ovvero facendo riferimento alle mensilità di erogazione della retribuzione (e, quindi, dal versamento del 16 febbraio di un anno a quello del 16 gennaio dell’anno successivo).
L’INPS, invece, nella circolare n. 121/2016, conformemente a quanto precisato dal Ministero del Lavoro nelle note nn. 9099/2016 e 6995/2016, ragionando “per cassa”, ha sostenuto che i versamenti che concorrono a determinare la soglia sono quelli relativi al mese di dicembre dell’anno precedente all’annualità considerata (da versare entro il 16 gennaio) fino a quelli relativi al mese di novembre dell’annualità considerata (da versare entro il 16 dicembre). L’Ispettorato nazionale del lavoro, peraltro, con nota del 25 settembre 2017 n. 8376, aveva tenuto conto delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità, ritenendo superate le precedenti indicazioni.
La questione è di non poco rilievo, dal momento che dall’individuazione del criterio di imputazione temporale derivano conseguenze diverse, che determinano l’inclusione o l’esclusione di determinate mensilità nel computo dell’anno di interesse per il superamento della soglia di punibilità. Le Sezioni Unite – premesso il carattere assolutamente non vincolante delle indicazioni ministeriali e dell’INPS, trattandosi di atti interni con finalità di mero ausilio interpretativo – sottolineano come il generico riferimento all’importo “superiore a euro 10.000 annui” renda plausibili, in astratto, entrambe le soluzioni interpretative.
Cionondimeno, il riferimento è alle somme che il datore di lavoro trattiene per riversare all’INPS in luogo dei lavoratori; somme delle quali non può disporre, in quanto di pertinenza dei dipendenti, prima, e dell’Istituto previdenziale, poi. E in tale contesto viene sottolineato come l’intenzione del legislatore sia quella di reprimere non tanto il fatto omissivo del mancato versamento dei contributi, quanto la più grave condotta di indebita appropriazione di somme prelevate dalla retribuzione dei lavoratori dipendenti, con la conseguenza che l’obbligo di versare le ritenute nasce solo con l’effettiva corresponsione della retribuzione.
Rileva, altresì, la modalità di inoltro, per via telematica, delle denunce mensili contenenti i dati retributivi e le informazioni utili al calcolo dei contributi, effettuata attraverso il sistema UniEmens. Sistema che ha progressivamente sostituito le modalità di invio delle informazioni precedentemente contenute nei modelli DM10 con una procedura che prevede un controllo di congruità delle dichiarazioni, con possibilità di correzione o rettifica, di ricorso a successivi processi di regolarizzazione e di ulteriori attività di verifica che possono dar luogo a eventuali variazioni contributive (sia a credito che a debito). Di conseguenza, il debito contributivo si determina attraverso un sistema “fluido” che, in alcuni casi, consente l’esatta individuazione degli importi solo in esito a determinati calcoli.
Allora, osservano le Sezioni Unite, se è vero, come affermato dalla pronuncia n. 22140/2017, che il debito previdenziale sorge con la corresponsione delle retribuzioni, al termine di ogni mensilità, è altrettanto vero che la condotta del mancato versamento assume rilievo solo con lo spirare del termine di scadenza indicato dalla legge; appare, quindi, più coerente fare riferimento, riguardo alla soglia di punibilità, alla somma degli importi non versati alle date di scadenza comprese nell’anno, e che vanno dal 16 gennaio (per le retribuzioni del precedente mese di dicembre) al 16 dicembre (per le retribuzioni corrisposte nel mese di novembre).
Soluzione, questa, ritenuta maggiormente in linea con la lettera della previsione normativa e con le relative finalità, nonché in grado di assicurare al datore di lavoro una più agevole individuazione delle eventuali conseguenze penali della propria condotta.
Al contempo, infine, l’opzione interpretativa adottata dalle Sezioni Unite evita all’INPS di rivedere i numerosi accertamenti già effettuati sulla base di tale criterio.