Presupposti differenti per la tutela civile e penale delle garanzie dell’Erario: per il reato si deve provare il carattere ingannevole

Nella sentenza n. 10161 depositata ieri, la Corte di Cassazione ha ripreso alcuni principi in materia di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Con tale fattispecie, disciplinata all’art. 11 del DLgs. 74/2000, il legislatore ha inteso evitare che il contribuente possa venire meno al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche sottraendo il proprio patrimonio alle ragioni dell’Erario e rendendo in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Il reato può essere realizzato tramite due condotte alternative costituite dall’alienazione simulata dei propri beni o dalla realizzazione di atti fraudolenti posti in essere al fine di evasione.

Per il concetto di “alienazione simulata” è possibile attingere alle comuni definizioni civilistiche, secondo le quali la simulazione è finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale. Sicché, l’alienazione è simulata quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) all’effettiva volontà dei contraenti (Cass. n. 3011/2017).

Per contro, la nozione di “atto fraudolento” ha dato adito a plurime interpretazioni. Si è, infatti, ritenuto che con tale accezione debba intendersi un’alienazione che, sebbene effettiva, sia tuttavia idonea a rappresentare una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene per l’Erario (sempre Cass. n. 3011/2017) o, diversamente, la sussistenza di uno stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario (Cass. n. 19595/2011) o, ancora, una condotta idonea a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva (Cass. n. 14720/2008).
In sintesi, il carattere alternativo della condotta rispetto alla vendita simulata lascia intendere che il carattere fraudolento possa investire tutti gli altri atti volti a disperdere la garanzia patrimoniale del creditore e, dunque, tutti gli atti dispositivi su tali beni.

Va, tuttavia, evidenziato che la garanzia patrimoniale del creditore (anche quando questo sia rappresentato dall’Erario) è già assistita sul piano civilistico dalla speciale azione di cui all’art. 2901 c.c. (actio revocatoria), esperibile quando venga posto in essere un atto dispositivo dei propri beni con la consapevolezza di arrecare un nocumento al creditore stesso, in quanto privo di sufficienti garanzie.

D’altra parte, perché vi sia una responsabilità penale ai sensi dell’art. 11 del DLgs. 74/2000 è necessario che l’atto dispositivo sia connotato dalla peculiare finalità fraudolenta. Il concetto di frode evocato dalla norma presuppone, allora, non soltanto la lesione di un diritto altrui, ma altresì la specifica modalità attraverso la quale tale lesione viene effettuata: ovverosia l’inganno atto a configurare una situazione di apparenza diversa da quella della realtà sottostante, costituita dalla riduzione del patrimonio del debitore, così da mettere a repentaglio l’azione di recupero per l’Erario, o comunque da renderla più difficoltosa.

Con la sentenza n. 10161 di ieri, la Cassazione ha affrontato il caso di una vendita delle attrezzature di una società da parte dell’amministratore che, sebbene pregiudizievole per l’Erario (essendo stato il denaro incassato destinato al soddisfacimento di altri debiti da cui la stessa società era gravata), era stata effettuata a prezzo di mercato con incameramento del suddetto corrispettivo da parte della società alienante e, dunque, priva del carattere fraudolento richiesto per il perfezionamento del reato contestato.
I giudici di legittimità ricordano che per la rilevanza penale della condotta di “sottrazione” non basta che l’atto sia soltanto pregiudizievole, essendo tale condizione sempre configurata dall’atto dispositivo in presenza di una situazione patrimoniale insufficiente ad assicurare le ragioni del creditore attraverso l’eventuale esazione coattiva del credito.

L’atto dispositivo dev’essere caratterizzato da un “quid pluris”

Occorre, invece, che il pregiudizio arrecato non sia immediatamente percepibile in ragione di una condotta fraudolenta posta in essere dal debitore.
Infatti, l’atto dispositivo di un bene, mobile o immobile, rende di per sé maggiormente difficoltosa e incerta l’esazione del credito, essendo il denaro bene fungibile per eccellenza e quindi più facilmente occultabile, e ciò è sufficiente a legittimare l’esperibilità della revocatoria in sede civile, ma non l’azione in sede penale.

Non può perciò ritenersi integrata la finalità fraudolenta senza che l’atto dispositivo sia caratterizzato da un “quid pluris”, ovverosia da una modalità ingannevole attraverso la quale esso viene realizzato; altrimenti, il rischio sarebbe quello di dilatare oltre misura il concetto di atto fraudolento fino a far coincidere i presupposti del reato di cui all’art. 11 del DLgs. 74/2000 con quelli dell’azione revocatoria civile.