Il beneficio si riduce a un terzo di quello del 2016; rimangono, inoltre, più problematiche aperte sulle nuove norme attuative
La determinazione dell’ACE per il periodo d’imposta 2017 si presenta in più casi particolarmente complessa, alla luce dei molti interventi normativi che si sono susseguiti nell’ultimo anno.
La prima problematica con cui dovranno fare i conti le imprese che si accingono a calcolare il fondo imposte riguarda il sostanziale depotenziamento dell’agevolazione. Il coefficiente di remunerazione della variazione netta del capitale proprio passa, infatti, dal 4,75% del 2016 all’1,6%, per cui a parità di base ACE il beneficio fiscale si riduce a poco più di un terzo: una srl che disponga, ad esempio, di una base ACE di 500.000 euro poteva beneficiare nel 2016 di una detassazione per 23.750 euro, mentre per il 2017 l’importo si riduce a soli 8.000 euro.
Rimangono, inoltre, più questioni di carattere tecnico sulla concreta determinazione dell’agevolazione su cui non risulta un orientamento condiviso.
La prima di esse riguarda gli effetti dell’adozione dei nuovi OIC. Il complesso sistema di rilevazioni transitorie che ha caratterizzato il passaggio dai vecchi ai nuovi principi contabili, infatti, ha spesso determinato la necessità di allocare componenti a patrimonio netto (o di ridurre riserve di patrimonio netto già esistenti), con inevitabili conseguenze sulla base ACE. La materia è disciplinata dall’art. 5 del DM 3 agosto 2017, che ha ridefinito le norme di attuazione dell’agevolazione; in virtù della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 12 comma 1 dello stesso decreto, tuttavia, più imprese non hanno tenuto conto di queste disposizioni nella determinazione delle imposte per il 2016. Per il 2017, però, non si potrà più fare affidamento sulla clausola di salvaguardia, per cui occorrerà, anche se ex post, ricostruire la base ACE tenendo conto anche di queste disposizioni, molte potenzialmente di impatto numerico significativo (un caso per tutti, l’eliminazione dei costi di ricerca e di pubblicità dall’attivo patrimoniale).
Passando, invece, alle nuove clausole anti abuso contenute nell’art. 10 del DM 3 agosto 2017, la stessa Agenzia delle Entrate ha evidenziato, nella circ. n. 26/2016, che esse si applicano, in sostituzione delle omologhe clausole contenute nell’art. 10 del DM 14 marzo 2012, dal 2018 (periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore delle nuove norme attuative), fatta salva la loro adozione anticipata in via volontaria dall’impresa. La struttura di modelli di dichiarazione non sembra, però, coerente con questa affermazione: il campo “Elementi conoscitivi”, che reca le indicazioni sostitutive da fornire per la disapplicazione di tali discipline, le menziona entrambe nel modello per le società di capitali, mentre fa solo riferimento a quella del 2012 nel modello per le società di persone. La struttura dei modelli sembrerebbe, quindi, improntata a prevedere l’adozione della disciplina antielusiva del nuovo DM per i periodi d’imposta non solari – ad esempio, 1° ottobre 2017-30 settembre 2018 – da rendicontare con il modello REDDITI 2018, mentre le società di persone, il cui periodo d’imposta coincide con l’anno solare, sarebbero vincolate per il 2017 a seguire la disciplina antielusiva del DM 14 marzo 2012.
La questione non dovrebbe, però, nella maggior parte dei casi presentare problemi particolari, visto che la nuova disciplina è maggiormente restrittiva: ad esempio, una società che effettua un conferimento a favore di una controllata estera è tenuta a ridurre la base ACE in base alle nuove disposizioni attuative (fatta salva, naturalmente, la disapplicazione con interpello o indicazione sostitutiva in dichiarazione), mentre non lo è in base alle norme del DM 14 marzo 2012.
Altre questioni irrisolte riguardano le società di persone, per le quali gli utili sono computati per maturazione e non in base alla data di accantonamento. Non risulta, ad esempio, chiaro quale sia il comportamento da seguire nel momento in cui parte dell’utile sia destinato (o da destinare) a riserve indisponibili. Per fare un semplice esempio, una snc che effettua operazioni con l’estero può rilevare al 31 dicembre utili su cambi non realizzati, che in sede di destinazione dell’utile vanno accantonati all’apposita riserva di patrimonio netto, non disponibile ai fini dell’ACE. Posto che l’utile rileva per maturazione, le alternative sono:
– assumere in ogni caso tutto l’utile di esercizio – compresa la parte da destinare a riserva indisponibile – quale variazione in aumento ai fini ACE;
– “segmentare” l’utile di esercizio in due parti, assumendo quale variazione in aumento la sola parte al netto della differenza cambi, e considerare l’eccedenza nell’esercizio successivo, quando la differenza cambi si considera realizzata (e la riserva diviene disponibile) per effetto dell’incasso del credito o del pagamento del debito.
A rigore, il richiamo alle regole previste per le società di capitali imporrebbe il ricorso alla seconda soluzione, anche se in un’ottica di semplificazione si potrebbe sostenere la validità del ricorso alla prima, visto che per gli utili non distribuiti le regole delle società di persone divergono da quelle delle società di capitali, essendone di fatto anticipata di un anno l’inclusione nella base ACE.