L’art. 36 del DPR 602/1973 opera una puntuale delimitazione dell’ambito di responsabilità in proprio dei liquidatori

Il liquidatore di una società risponde del delitto di omesso versamento delle ritenute certificate ai sensi dell’art. 10-bis del DLgs. 74/2000, non per il mero fatto del mancato pagamento delle imposte dovute, ma solo qualora distragga l’attivo della società in liquidazione. Tale principio, già enunciato in giurisprudenza nella sentenza n. 21987/2016, viene ripreso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 8995 depositata ieri.

Può essere utile evidenziare che, in materia di omesso versamento di ritenute come di IVA, esiste un rigoroso orientamento interpretativo che vede la responsabilità di amministratori e liquidatori per il solo fatto di avere assunto le rispettive cariche entro il termine che attribuisce rilevanza penale all’omissione. È stato, ad esempio, ritenuto penalmente responsabile il liquidatore che, dopo aver richiesto un concordato preventivo (poi non omologato) nel cui contesto l’inventario del commissario giudiziale segnala l’esistenza della liquidità necessaria per adempiere al pagamento dell’imposta, non si era attivato per provvedere al versamento dell’IVA dovuta (Cass. n. 41594/2017).

Nel caso affrontato nella sentenza oggi in esame, le circostanze erano, però, parzialmente differenti. A fronte della contestazione del delitto di cui al citato art. 10-bis nei confronti del liquidatore di una srl, era stato ordinato il sequestro preventivo diretto finalizzato alla confisca delle somme presenti sul conto corrente intestato al concordato preventivo. Tale provvedimento era stato, poi, annullato dal tribunale del riesame ed impugnato con ricorso per Cassazione dal Procuratore generale.

I giudici di legittimità rigettano tale ricorso e non ritengono sia configurabile il reato contestato (e dunque il conseguente sequestro). Le motivazioni della Corte non attengono tanto al fatto che la mera domanda di ammissione al concordato poteva in sé porre al liquidatore il divieto di effettuare il versamento delle ritenute per effetto di quanto previsto dalla legge fallimentare (art. 168 del RD 267/1942) giacché l’ammissione al concordato e l’omologazione dello stesso erano, nella specie, entrambi successivi alla scadenza stabilita per il versamento.

Ciò che rileva è che, a fronte delle disponibilità liquide della società sussistenti al momento della presentazione della domanda di ammissione al concordato e all’intervento del liquidatore – che ammontavano a soli 5.141,74 euro – nonché a fronte della esistenza di crediti di grado anteriore superiori a tale importo, il mancato versamento dell’imposta non sarebbe stato comunque addebitabile al liquidatore.

Va ricordato, infatti, che l’art. 36 del DPR 602/1973 opera una puntuale delimitazione dell’ambito di responsabilità in proprio dei liquidatori, riferendosi, in primo luogo, alle imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori e, in secondo luogo, precisando che detta responsabilità consegue nel caso in cui essi non provino di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.

Sicché, in definitiva, la responsabilità per il reato di omesso versamento delle ritenute potrebbe configurarsi solo se i soggetti preposti alla liquidazione distraggano l’attivo della società finalizzato al pagamento delle imposte e lo destinino a scopi differenti. Una diversa lettura della norma porterebbe – secondo i giudici – alla illogica conseguenza di porre il liquidatore di fronte a due opzioni contrastanti: da un lato, quello di osservare l’obbligo gerarchico nell’assolvimento delle posizioni debitorie (tra cui rientrano anche quelle fiscali); dall’altro, il rischio di una responsabilità penale nel caso in cui l’osservanza di tale criterio di ripartizione comporti inevitabilmente l’omissione del versamento delle ritenute.

Una diversa lettura della norma porterebbe a due opzioni contrastanti

Né gli obblighi previsti sono limitati unicamente all’ambito civilistico, ma assumono una diretta incidenza in ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 10-bis del DLgs. 74/2000. Tale fattispecie potrà, infatti, venire in considerazione solo in caso di insussistenza dei presupposti limitativi della responsabilità dei liquidatori individuati dal citato art. 36 del DPR 602/73.

Va, infine, evidenziato che la Cassazione parla comunque di “non volontaria” omissione, con ciò richiamando implicitamente aspetti connessi alla valutazione dell’elemento soggettivo doloso che, a fronte di obblighi normativi contrapposti e non facilmente oggetto di un bilanciamento, richiede una più approfondita verifica e un puntuale accertamento (cfr. di recente Cass. n. 6737/2018).