L’Agenzia delle Entrate ha fornito il chiarimento nella risposta a un interpello

La Cassazione n. 2007/2018, che ha dichiarato non applicabili agli atti antecedenti al 1° gennaio 2018 le modifiche introdotte dalla L. 205/2017 in materia di registro, potrebbe stimolare un cambio di strategia per alcuni contribuenti, nonostante la conclusione contraria sposata dalla C.T. Prov. Reggio Emilia n. 4/2/18e dalla C.T. Prov. Milano n. 571/15/18.
Pensiamo a chi è ricorso, prima dell’entrata in vigore della novella legislativa, alla combinazione conferimento d’azienda e cessione della partecipazione oppure alla cessione totalitaria di quote o azioni, e che si trova già pendente un contenzioso tributario in materia di registro o vede prossima la liquidazione della maggiore imposta di registro per effetto della riqualificazione dell’operazione in una cessione d’azienda.
Il drastico intervento della Cassazione potrebbe indurre a una volontaria acquiescenza, per mitigare l’impatto degli interessi o delle sanzioni o per evitare un contenzioso tributario.

Può così interessare la risposta, non pubblicata, fornita dalla Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate all’istanza di interpello n. 954-146/2014.
Realizzata un’operazione di conferimento di alcuni rami d’azienda e successiva cessione delle quote della conferitaria, assoggettando tutti gli atti al registro in misura fissa, l’Agenzia delle Entrate riqualificava il tutto in una cessione diretta d’azienda richiedendo il registro (nonché l’ipotecaria e catastale per la componente immobiliare) in misura proporzionale.
Impugnati gli avvisi di liquidazione, nel 2013 la C.T. Prov. rigettava i ricorsi e, nelle more dell’appello alla C.T. Reg., l’istante provvedeva al pagamento delle imposte e dei relativi interessi, contabilizzando il tutto nella voce “E21 – Oneri straordinari” (voce non più presente dai bilanci riferiti agli esercizi aventi inizio dal 1° gennaio 2016) del Conto economico dell’esercizio 2013, interpellando l’Agenzia sul trattamento fiscale da riservare alle varie componenti.

Anzitutto è stata data conferma della deducibilità ai fini IRES delle imposte versate nel 2013 ai sensi dell’art. 99 del TUIR, che ammette la deducibilità dal reddito delle imposte, inclusi le tasse e i contributi, diverse da quelle sui redditi e da quelle per le quali è previsto l’addebito, anche in via facoltativa, a carico del terzo. La deducibilità delle imposte d’atto è ammessa, indipendentemente dalla competenza civilistica della stessa, nel rispetto della preventiva imputazione dell’onere e del suo versamento all’Erario.

Piena deducibilità ai fini IRES è stata poi riconosciuta anche agli interessi passivi per tardivo versamento delle imposte. Si tratta infatti di somme che, pur avendo giuridicamente natura di interessi, non sottendono alcun rapporto di finanziamento posto in essere dall’impresa, per cui gli stessi sono oggettivamente estranei al regime dell’art. 96 del TUIR (applicabile, invece, alle somme collegate alla messa a disposizione di una provvista di danaro, titoli o altri beni fungibili per i quali sussiste l’obbligo di restituzione e in relazione ai quali è prevista una specifica remunerazione).

Circa la deducibilità delle imposte ai fini IRAP, l’Agenzia ha invece respinto la richiesta del contribuente. Attesa la contabilizzazione degli oneri in questione nella (previgente) voce “E21 – Oneri straordinari”, la deducibilità veniva richiesta in applicazione del principio di correlazione stabilito dall’art. 5 comma 4 del DLgs. 446/97, sostenendosi la correlazione tra le imposte d’atto pagate con l’azienda condotta dalla società, generatrice di componenti positivi e negativi che concorrono alla formazione della base imponibile IRAP.
Al contrario, secondo l’Agenzia “non può rilevare ai fini del principio della correlazione un generico legame del componente positivo o negativo ad elementi patrimoniali (asset) che costituiscono l’azienda, dai quali potranno derivare componenti positivi o negativi rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile Irap”. In base alla risposta, la correlazione ex art. 5 comma 4 opera solo per i componenti che costituiscono vere e proprie “variazioni” (per collegamento diretto) di componenti positivi o negativi assunti ai fini del valore della produzione netta di periodi di imposta precedenti o successivi (tipicamente, resi o sconti su acquisti).

Negata per l’assenza di un legame diretto l’operatività del principio di correlazione, la contabilizzazione delle imposte in una voce straordinaria irrilevante ai fini della base imponibile IRAP ha così portato l’Agenzia a negare la deducibilità delle imposte ai fini del tributo regionale. Nell’attuale contesto, ove la sezione straordinaria è venuta meno e le imposte pagate sono rilevate nella voce B.14 del Conto economico, se ne deve riconoscere la deducibilità anche ai fini IRAP. Avendo l’Agenzia ritenuto le maggiori imposte d’atto pagate solo “genericamente” correlate all’azienda, non dovrebbe operare la preclusione prevista dall’art. 5 comma 1 del DLgs. 446/97 che esclude la rilevanza fiscale IRAP per i componenti positivi e negativi – contabilizzati nella parte ordinaria del Conto economico – di natura straordinaria “derivanti” da trasferimenti di azienda o di rami di azienda, dunque direttamente (e non “genericamente”) collegati all’operazione straordinaria.