Non bisogna più sanare anche gli omessi versamenti degli acconti
Sovente accade che il contribuente debba ravvedere violazioni dichiarative che abbiano inciso sulla determinazione dell’imposta dovuta, o sul credito che emerge dalla dichiarazione: si pensi, per fare gli esempi più banali, alla mancata dichiarazione di ricavi.
In tal caso, la violazione è la dichiarazione infedele, disciplinata dagli artt. 1 e 5 del DLgs. 471/97, che prevede, come misura base, una sanzione dal 90% al 180% delle imposte. Ove, tuttavia, dalla violazione sia emerso un minor credito non utilizzato in compensazione, né esterna né interna, la violazione è da dichiarazione inesatta, da 250 euro a 2.000 euro (circ. Agenzia delle Entrate 7 aprile 2017 n. 8, § 15.1).
Il ravvedimento, nel caso della dichiarazione infedele, richiede alcune accortezze, tutte analizzate nella circolare Eutekne di gennaio 2018.
In primo luogo, occorre, secondo il costante orientamento delle Entrate, ravvedere anche le violazioni prodromiche, inerenti ad esempio alla fatturazione e alla registrazione delle operazioni, inclusi gli omessi versamenti dell’IVA periodica (circ. Agenzia delle Entrate 19 febbraio 2015 n. 6, § 10.1; con la successiva circolare n. 42 del 2016, tuttavia, si è specificato che la violazione sui versamenti rimane assorbita dall’infedeltà dichiarativa, ma il chiarimento potrebbe essere ritenuto dalle Entrate come circoscritto alle imposte sui redditi).
Ove, comunque, il contribuente ravveda solo la violazione dichiarativa, detta sanatoria rimane valida, e l’Ufficio potrà irrogare le sanzioni sulla fatturazione e, se del caso, sui versamenti.
Nel momento in cui il contribuente ravvede la violazione di dichiarazione infedele ex art. 1 del DLgs. 471/97, non deve, nel contempo, sanare anche l’insufficiente versamento degli acconti d’imposta che derivano, “a cascata”, dalla violazione dichiarativa (circolare Agenzia Entrate 12 ottobre 2016 n. 42).
Premesso ciò, siamo pacificamente nell’ambito di violazioni su tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, quindi il ravvedimento può avvenire sino alla notifica dell’accertamento, e la riduzione della sanzione può essere da 1/8 del minimo a 1/5 del minimo, a seconda di quando ci si ravvede.
Ai fini operativi, occorre presentare la dichiarazione integrativa, versare le imposte, gli interessi legali (conteggiati dalla data di versamento del saldo) e le sanzioni del 90% ridotte.
Per individuare la corretta riduzione della sanzione, occorre verificare il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo, nonché quelle degli anni ancora posteriori.
È quindi importante considerare le eventuali proroghe che, in relazione ai diversi anni, vengono disposte per la presentazione della dichiarazione dei redditi o IVA, e lo stesso dicasi per le varie disposizioni di legge che incidono sui termini stessi, come avvenuto negli ultimi anni.
Relativamente al modello UNICO 2015 (anno 2014), per fare un esempio, se il ravvedimento operoso è avvenuto entro il 31 ottobre 2017 (rileva la proroga dal 30 settembre al 31 ottobre del DPCM del luglio 2017), c’è la riduzione al settimo, se in momenti successivi ci sarà la riduzione al sesto (applicandosi o la lettera b-bis) o la lettera b-ter).
Per l’IVA (sempre in merito al modello UNICO 2015, anno 2014), invece, se il ravvedimento è avvenuto entro il 28 febbraio 2017, c’è la riduzione al settimo, se in momenti successivi ci sarà la riduzione al sesto.
Quand’anche il ravvedimento avvenisse pagando una sanzione ridotta insufficiente per errato computo del termine finale, secondo il principio espresso nella circolare dell’Agenzia delle Entrate del 2 agosto 2013 n. 27, esso rimane valido proporzionalmente per la parte di violazione sanata.