Nel caso della commissione di un reato «231» la nomina può evitare il sequestro
La nomina dell’amministratore giudiziario è un presupposto imprescindibile per la continuità dell’esercizio dell’attività aziendale, a fronte del sequestro ordinato dopo la contestazione di uno dei reati presupposto previsti dal DLgs. 231/2001.
Tale affermazione viene fatta propria dalla Cassazione, nella sentenza n. 6742 depositata ieri, in un caso in cui il giudice competente aveva rigettato l’impugnazione avverso un sequestro, rilevando l’inesistenza di un amministratore giudiziario, mai nominato nel corso del procedimento penale.
Si trattava di un procedimento in cui erano stati contestati a due società alcuni illeciti ambientali previsti dall’art. 25-undecies del DLgs. 231/2001 ed era stato emesso un decreto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente dei beni aziendali per una somma di quasi 3.000.000 di euro.
Va, infatti, ricordato che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 e 53 del medesimo decreto, il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca. Questa può essere ordinata direttamente sul prezzo o sul profitto del reato (salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato e salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede), ovvero può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato (c.d. confisca per equivalente).
La questione sottoposta alla Corte riguardava qui la possibilità di garantire la continuità aziendale, di produrre reddito e di mantenere l’occupazione, attraverso l’autorizzazione all’utilizzo della liquidità esistente sui conti correnti, nonostante l’avvenuto sequestro; ma i giudici di legittimità precisano che tale possibilità può essere ammessa solo laddove sia effettivamente stato nominato un amministratore giudiziario.
La figura di un soggetto “garante” è prevista da varie norme nell’ambito della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, quale alternativa all’applicazione di misure o sanzioni che potrebbero danneggiare inevitabilmente l’attività dell’ente stesso.
In particolare, all’art. 15 del DLgs. 231/2001 si prevede che, in luogo di una sanzione interdittiva, il giudice possa disporre la prosecuzione dell’attività dell’ente da parte di un commissario quando ricorra almeno una delle seguenti condizioni: l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività; ovvero, l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione.
D’altra parte – per quel che rileva nel caso di specie – il comma 1-bis dell’art. 53 del DLgs. 231/2001 regola specificamente il caso in cui il sequestro eseguito ai fini della confisca per equivalente abbia ad oggetto “società, aziende, ovvero beni, ivi compresi titoli, nonché quote azionarie o liquidità anche in deposito”, e prevede che, in tali ipotesi, il custode amministratore giudiziario ne possa consentire l’utilizzo e la gestione agli organi societari esclusivamente al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali, esercitando poteri di vigilanza e riferendone all’autorità giudiziaria. Tale comma è stato inserito dall’art. 12del DL 101/2013, dedicato alle “disposizioni in materia di imprese di interesse strategico nazionale”.
La ratio di tale disposizione è evidentemente quella di evitare che la disposta misura cautelare possa paralizzare l’ordinaria attività aziendale pregiudicandone la continuità e lo sviluppo: la funzione assegnata al custode amministratore giudiziario è, dunque, quella di vigilare sull’utilizzo e sulla gestione dell’azienda e di riferirne all’autorità giudiziaria.
La tematica presa in considerazione dai giudici di legittimità riguarda, in particolare, la natura facoltativa o meno di tale figura. Secondo la sentenza in commento, la preventiva nomina di questo soggetto è condizione essenziale per consentire la prosecuzione dell’attività e lo “scongelamento” dei beni e, nel caso in cui non avvenga, la parte interessata ha un onere di impulso nei confronti del giudice che procede, ai sensi dell’art. 47 del DLgs. 231/2001.