L’art. 111 comma 2 L. fall. non trova applicazione nel caso delle soluzioni meramente stragiudiziali della crisi d’impresa

Di Michele BANA

Non è qualificabile come prededucibile il credito professionale dell’avvocato per l’attività prestata a favore del debitore, poi dichiarato fallito, in relazione alla predisposizione di un piano di risanamento aziendale di cui all’art. 67 comma 3 lett. d) del RD 267/1942.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 1895 di ieri, confermando la decisione del Tribunale, che aveva respinto la richiesta di prededuzione del legale – ai sensi dell’art. 111 comma 2 L. fall., afferente i crediti “sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge” – in quanto al procedimento previsto per la predisposizione e l’attestazione dei piano di risanamento, a norma della citata disposizione della legge fallimentare, non può essere attribuita natura di procedura concorsuale.

In particolare, il giudice di merito aveva motivato il proprio provvedimento sulla base della considerazione che la redazione di tale piano si connota per alcuni specifici elementi distintivi rispetto al concordato preventivo (artt. 160 e ss. L. fall.) e all’accordo di ristrutturazione del debito (art. 182-bis L. fall.), come la mancanza di un preventivo accordo con i creditori, l’assenza di una preventiva pubblicazione obbligatoria presso il Registro delle imprese e di qualsiasi intervento omologatorio del Tribunale.
Queste ragioni sono state ritenute condivisibili dalla Suprema Corte, che ha osservato, in primo luogo, che alla strutturazione e conformazione del piano non concorre alcun intervento giudiziale, sia esso di valutazione o controllo: inoltre, non è neppure necessaria la partecipazione del ceto creditorio.

Sul punto, la Cassazione ha ricordato che il piano di cui all’art. 67 comma 3 lett. d) del RD 267/1942 è frutto di una decisione dell’impresa che:
– attiene alla programmazione della propria futura attività ed è diretta al perseguimento dell’obiettivo del risanamento della corrispondente “situazione finanziaria”;
– necessita, nella propria traduzione operativa, dell’attività contrattuale di un professionista indipendente, per la funzione di attestatore;
– può comportare la conclusione di convenzioni con creditori o terzi in genere;
– interessa anche l’eventualità di “esternalizzare” il piano, portandolo così a conoscenza dei creditori e del mercato, mediante la facoltativa pubblicazione presso il Registro delle imprese, che rappresenta una scelta propria dell’autonomia del debitore.

Alla strutturazione del piano non concorre alcun intervento giudiziale

In altri termini, la vicenda espressa dal piano non raffigura una “procedura”, rientrando, pertanto, nell’ampio genere delle “convenzioni stragiudiziali” (Cass. n. 13719/2016).

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha escluso che l’art. 111 L. fall. sia da leggere e interpretare come se si riferisse anche alle composizioni negoziali della crisi d’impresa. La prededuzione costituisce una vicenda di tratto sostanzialmente eccezionale, o comunque singolare, e indica – ben al di là della prima parte del comma 2 della disposizione – il fatto che essa comporta una deroga al principio generale della par condicio creditorum.
Nel caso di specie, non è stata neppure ritenuta invocabile la Cassazione n. 18922/2014, in quanto concernente un’ipotesi di assistenza alla preparazione di un’istanza di fallimento, senza, peraltro, presentare o proporre richiami all’art. 67 del RD 267/1942. La decisione del Tribunale aveva, infatti, identificato l’art. 111 L. fall. come norma generale, applicabile alla pluralità di procedure concorsuali.

È stata altresì negata la rilevanza della Cassazione n. 5098/2014, poiché riguardante un caso di credito professionale relativo a una domanda di concordato preventivo: tale pronuncia aveva affermato, in realtà, che questa disposizione intende favorire il ricorso a tale procedura concorsuale, come “strumento di composizione della crisi idonea a favorire la conservazione dei valori aziendali”.
Quest’ultimo obiettivo è condiviso anche dall’art. 67 comma 3 lett. g) del RD 267/1942, che sottrae all’azione revocatoria fallimentare i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili eseguiti dall’imprenditore alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alla procedure di concordato preventivo.