Nel contenzioso relativo agli enti non commerciali, spesso emerge il problema di individuare, ai fini delle imposte sui redditi, quali attività possono ritenersi decommercializzate.
Infatti, esiste una norma particolare nell’art. 143 del TUIR, che così recita: “il reddito complessivo degli enti non commerciali di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 73 è formato dai redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione, ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva. Per i medesimi enti non si consideranoattività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c. rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione”.
Alcune attività sono, come emerge dalla norma, di diritto decommercializzate, nel senso che sono escluse da tassazione.
Occorre la contestuale presenza di tre elementi:
– prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c. rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente;
– senza specifica organizzazione;
– verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione.
Il primo requisito è facilmente dimostrabile, in quanto basta appurare, dallo Statuto, quale è il fine istituzionale ad esempio della Fondazione.
Sul secondo profilo, non deve esistere alcuna “specifica” organizzazione dedicata all’attività in sé considerata. È bene osservare che l’art. 143 del TUIR non richiede l’assenza generale di organizzazione per la realizzazione del fine istituzionale dell’ente, ma l’assenza di una “specifica” organizzazione connessa in modo diretto all’attività che genera il provento.
Poi, bisogna dimostrare che l’attività, in sé considerata, è sostanzialmente in perdita, e ciò può essere non facile. Arduo potrebbe essere individuare quali sono i costi di diretta imputazione.
All’evidenza si tratta di una disposizione particolare introdotta solo per il comparto delle imposte dirette, non a caso non è presente in ambito IVA.
Si vuole agevolare il terzo settore, quando non c’è una specifica combinazione di fattori produttivi: in base alla teoria generale, infatti, ai fini fiscali l’attività è commerciale non solo quando rientra in quelle dell’art. 2195 c.c., ma anche se, pur non rientrandovi, c’è una organizzazione in forma di impresa (art. 55 comma 2 del TUIR).
Alcuni interventi di prassi possono contribuire a definire meglio il concetto.
Per la risoluzione ministeriale n. 11/274 del 23 ottobre 1992, rientra nell’art. 143 del TUIR l’attività consistente nello studio e nella ricerca effettuata per conto di privati dietro corrispettivo, ad opera dell’IRPET (istituto regionale per la programmazione economica della Toscana).
Ancora più interessante è la risoluzione ministeriale 17 giugno 1996 n. 102, in cui l’INPS chiedeva al vecchio Ministero se fosse imponibile il rimborso spese per servizi derivanti da prestazioni in favore di certe categorie di lavoratori. In merito al requisito dell’organizzazione, si precisa che le prestazioni “sono rese senza una specifica organizzazione, bensì utilizzando le medesime strutture impiegate per il raggiungimento dei fini istituzionali stessi”.