La dichiarazione inesatta opera solo se l’errore incide sui controlli e non cagiona debito d’imposta

Di Dario AUGELLO

Le dichiarazioni dei redditi e IVA possono essere integrate in aumento o diminuzione fino al termine di decadenza dall’accertamento (art. 2, commi 8 e 8-bis del DPR 322/1998).
L’integrativa in aumento è strettamente connessa con il ravvedimento operoso. Il contribuente corregge precedenti errori od omissioni mediante una nuova dichiarazione e con il pagamento contestuale della sanzione ridotta, delle imposte e degli interessi legali.
Secondo la prassi amministrativa (circ. Agenzia Entrate n. 42 del 12 ottobre 2016) la dichiarazione erronea emendata entro 90 giorni dal termine di presentazione non si considera infedele, ma inesatta: non si applica in questo caso la sanzione per dichiarazione infedele, ma quella per incompletezza della dichiarazione (250 euro nel minimo, art. 8, comma 1 del DLgs. 471/1997).

Se ne deriva un debito d’imposta, però, si applica anche la sanzione per omesso o insufficiente versamento d’imposta (30% o 15%, art. 13 del DLgs. 471/1997)
Decorsi 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione si applica, invece, unicamente la sanzione per infedeltà dichiarativa (90%) con le riduzioni da ravvedimento: in altre parole, oltre 90 giorni la dichiarazione emendata non è più inesatta, ma infedele (art. 1, comma 2 del DLgs. 471/1997).

Non è chiaro, invece, se la sanzione per incompletezza della dichiarazione (art. 8, comma 1 del DLgs. 471/1997) si applichi anche alla dichiarazione integrativa in diminuzione, fermo restando che l’infedeltà dichiarativa concerne unicamente gli errori a danno del Fisco.
Il caso tipico è quello dell’imprenditore che emenda la dichiarazione dei redditi con un componente negativo non indicato nella precedente dichiarazione al fine di fare emergere un maggior credito d’imposta o una maggiore perdita.

Secondo un’opinione la sanzione pecuniaria (ridotta per effetto del ravvedimento) sarebbe sempre applicabile all’integrativa in diminuzione: la sanzione è ridotta a un nono se l’integrativa a favore è presentata entro 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione, un ottavo, un settimo, un sesto nei casi indicati dall’art. 13 del DLgs. 472/1997, lett. b), b-bis), b-ter).
In sostanza la correzione della dichiarazione, anche a favore, esprimerebbe sempre una violazione amministrativa.
Tale orientamento meriterebbe però di essere ripensato.

Per le sanzioni vale la tassatività

L’art. 8, comma 1 del DLgs. 471/1997 punisce in verità le violazioni relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni, che sono suscettibili di intralciare l’azione amministrativa. L’elenco non è tassativo: lo si evince dalla norma di chiusura, che fa riferimento all’omessa indicazione di ogni altro elemento prescritto per il compimento dei controlli.
La valutazione circa la punibilità della specifica violazione dovrebbe quindi essere eseguita a posteriori mediante l’accertamento dello specifico grado di offensività all’interesse pubblicotutelato (buon andamento dell’Amministrazione finanziaria).

Se l’errore a sfavore del contribuente non arreca pregiudizio concreto al Fisco, la condotta del contribuente che pone rimedio all’errore medesimo non dovrebbe essere sanzionata.
Da ultimo si sono sbilanciate in questo senso, anche se con statuizioni incidentali non vincolanti, la C.T. Prov. Milano n. 1219/21/16 e la C.T. Reg. Sicilia n. 3635/24/16.