La Corte di Giustizia ha accolto in parte le istanze sollevate dalla Corte costituzionale italiana

Di Maria Francesca ARTUSI

Con la decisione della Corte di Giustizia dello scorso 5 dicembre si chiude (temporaneamente) il capitolo sulla disapplicazione della prescrizione nei procedimenti per le frodi IVA.
La Corte di Giustizia si era già pronunciata l’8 settembre 2015 sancendo l’incompatibilità con il diritto dell’Unione europea della normativa italiana sulla prescrizione dei reati in materia di frodi IVA (causa C-105/14).
Da tale pronuncia – caso Taricco – aveva preso avvio un complesso dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul ruolo della prescrizione, sulla definizione di “frodi gravi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea” e sui rapporti tra il diritto comunitario e il diritto italiano.

Dal momento che la Corte Ue chiedeva ai giudici nazionali di disapplicare direttamente le norme in materia di prescrizione in relazione ai reati tributari sull’imposta sul valore aggiunto, un punto problematico ha da subito riguardato la discrezionalità lasciata agli organi giudicanti, sia rispetto al bilanciamento di una tale disapplicazione con i diritti fondamentali costituzionali e convenzionali (con particolare attenzione ai principi di legalità e di irretroattività), sia rispetto alla disciplina applicabile “in sostituzione” di quella incompatibile con le norme comunitarie.

Se si ammettesse una possibile disapplicazione, sarebbe, infatti, necessario chiarire quale sia la disciplina effettivamente e alternativamente applicabile.
Taluni hanno ipotizzato l’utilizzo del termine di prescrizione fissato dalla disciplina anteriore alla riforma della L. 251/2005: applicare, cioè, il prolungamento “fino alla metà” del termine prescrizionale vigente “ante 2005”, al fine di garantire maggiormente l’effettività delle sanzioni. La riforma operata dalla L. 103/2017, sebbene successiva alla “sentenza Taricco”, non è, però, intervenuta su questo punto, innalzando alla metà il termine solo per alcuni reati contro la Pubblica Amministrazione.
Ad oggi, dunque, pare più difficile immaginare che il giudice possa attuare una disciplina per due volte (nel 2005 e nel 2017) modificata dal legislatore.

D’altra parte, alcune sentenze hanno precisato che, a prescindere dalla questione dell’applicabilità dei principi affermati dalla “sentenza Taricco”, la disapplicazione, sfavorevole al reo, non potrà operare retroattivamente con riferimento a condotte poste in essere anteriormente alla adozione della pronuncia della Corte di Giustizia (Cass. nn. 45964/2017 e 45751/2017).

A fronte delle questioni sollevate dalla Cassazione (Cass. n. 28346/2016) e dalla Corte d’Appello di Milano (ordinanza del 18 settembre 2015), la Corte Costituzionale ha ritenuto di essere in presenza di “un persistente dubbio interpretativo sul diritto dell’Unione” e che, pertanto, fosse necessario sollecitare un nuovo chiarimento da parte della Corte di Giustizia sul significato da attribuire all’art. 325 del TFUE sulla base della sentenza resa in causa Taricco.
In altre parole, i giudici delle leggi hanno chiesto alla Corte del Lussemburgo un ripensamento sulla corretta interpretazione della norma in questione ed una nuova pronuncia volta a rendere compatibili le norme dei Trattati con il principio costituzionale di legalità (Corte Cost. n. 24/2017).
Tale rinvio è confluito nella causa C-42/17, decisa lo scorso 5 dicembre.

Pur attestandosi sulle criticità già affermate rispetto al regime di prescrizione previsto dalla legge italiana e applicabile in materia di frodi IVA, i giudici dell’Unione riconoscono il rischio di violazione dei principi di legalità e di irretroattività in materia penale costituzionalmente tutelati dal nostro ordinamento.
La Corte ribadisce che l’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Ue va interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto, di disapplicare norme interne che non garantiscano l’applicazione di sanzioni penali effettive e dissuasive e che, dunque, dovranno essere disapplicate le norme in materia di prescrizione per lefrodi gravi che ledono gli interessi finanziari dell’Ue (artt. 160 e 161 c.p.).
Tuttavia, tale disapplicazione non avrà luogo quando sia in contrasto con il principio di legalità a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile o per gli effetti retroattivi di una disciplina più severa rispetto a quella vigente al momento della commissione del fatto.

Tale decisione limita, così, gli effetti dirompenti della prima “sentenza Taricco” sollevando i giudici da una eccessiva discrezionalità lesiva dei principi fondamentali del processo penale.
Resta, però, vivo il problema di fondo sull’incompatibilità dell’attuale sistema prescrizionale italiano con la tutela degli interessi finanziari dell’Ue; tanto è vero che la sentenza in commento richiede espressamente al legislatore di intervenire sulle norme in materia di prescrizione al fine di garantire che il regime adottato non conduca all’impunità in un numero considerevole di casi di frodi gravi in materia di IVA.