La Cassazione torna sui suoi passi trasformando l’obbligo d’intervento in obbligo di acquisire tutte le informazioni per essere in grado d’intervenire

Di Ciro SANTORIELLO

I componenti del collegio sindacale rivestono una posizione di garanzia in relazione alle condotte delittuose poste in essere dagli amministratori societari, rispetto alle quali hanno un obbligo di impedimento la cui inosservanza determina la responsabilità per i reati fallimentari o societari.
Tuttavia, l’applicazione di tale principio si gioca intorno alla corretta definizione dell’atteggiamento soggettivo del singolo o meglio intorno all’individuazione delle condizioni in presenza delle quali la sua inerzia può considerarsi una modalità colpevole e intenzionale di partecipazione all’altrui condotta delittuosa.

In proposito, nessun dubbio circa la responsabilità dei ricordati soggetti sussiste quando venga accertato un accordo con gli amministratori circa l’agevolazione della condotta criminosa che i primi abbiano intenzione di tenere e che contano di portare a termine in maniera più agevole grazie alla connivenza dell’organo di controllo.
Ma il problema sorge per l’appunto con riferimento a soggetti che non sono stati i materiali autori del reato e che, quindi, in ipotesi potevano anche ignorare che gli amministratori fossero pronti a delinquere.

In realtà, il problema sembrava essere superato, posto che la Cassazione – superando un severo orientamento su cui ci soffermeremo più avanti – in recenti decisioni ha asserito che, “ai fini della responsabilità penale dell’amministratore privo di delega per fatti di bancarotta fraudolenta, non è sufficiente la oggettiva presenza di dati (i cosiddetti «segnali d’allarme») da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno il rischio della verifica di detto evento, ma è necessario che egli ne sia concretamente venuto a conoscenza ed abbia volontariamente omesso di attivarsi per scongiurarlo” (Cass. nn. 13399/2016 e 15639/2016).

Insomma, per parlare di responsabilità penale degli organi di controllo sarebbe necessaria la piena prova della loro consapevolezza e conoscenza circa le altrui condotte criminose: certamente, il raggiungimento di tale prova sarà più agevole laddove le criticità e manchevolezza riscontrate consistano in anomalie specifiche e peculiari proprie dell’evento illecito che era in fase di realizzazione e il cui mancato impedimento viene contestato al sindaco (insomma, più è grave il fatto di reato, più è probabile che il sindaco se ne sia avveduto e ne abbia preso cognizione).

In ogni caso, però, quale che ne sia la rilevanza e la macroscopicità, le illiceità commesse da altri, come ha asserito la Cassazione, devono essere state percepite e assunte “nel loro reale significato dal soggetto di cui trattasi: una condizione di dubbiocirca la loro significatività non è di per sé incompatibile con l’accettazione dell’evento [poiché] il dubbio descrive una situazione irrisolta, perché accanto alla previsione della verificabilità dell’evento vi è la previsione della non verificabilità ed il dubbio corrisponde ad una condizione d’incertezza, che appare difficilmente compatibile con una presa di posizione volontaristica in favore dell’illecito, ad una decisione per l’illecito, ma che ove concretamente superato, avendo l’agente optato per la condotta anche a costo di cagionare l’evento, volitivamente accettandolo quindi nella sua prospettata verificazione, lascia sussistere il dolo eventuale” (Cass. n. 36399/2013).

Peccato che questa impostazione abbia avuto vita breve e la Cassazione sia tornata sui suoi passi trasformando l’obbligo di intervento ovvero l’obbligo di impedire l’evento in obbligo di informarsi su quanto si sta verificando in azienda onde essere in grado di intervenire e porre termine alle altrui condotte criminose; da qui la conclusione secondo cui è possibile rispondere a titolo di concorso anche quando si sia consapevolmente venuti meno al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all’espletamento del proprio mandato (cfr. Cass. n. 52433/2017).

Sulla scorta della considerazione che sui sindaci grava l’obbligo di non limitarsi a un mero controllo formale della contabilità, ma di vigilare, in forma penetrante e costante, sul generale andamento gestionale societario, considerazione senz’altro esatta, la Cassazione giunge a una conclusione assolutamente opinabile, confondendo ipotesi di mera inadempienza dei doveri di sorveglianza gravanti sui membri del collegio sindacale con l’adozione da parte di questi di una condotta di intenzionale agevolazione dell’altrui comportamento criminoso (questa sola avente piena rilevanza penale).

Di contro, se è vero che la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice può determinare la sussistenza di un’ipotesi di responsabilità penale a carico del soggetto che è rimasto inerte a fronte di una situazione che invece sollecitava il suo intervento, è altresì vero che per la formulazione di una tale conclusione è comunque necessario che in capo al singolo sussista (e ne sia data piena prova in sede di giudizio criminale) l’elemento soggettivorichiesto dalla disposizione incriminatrice.