Potrebbe però essere responsabile della sanzione comminata alla società
La società commerciale che affida l’incarico di sindaco a un pubblico dipendente senza la prescritta autorizzazione dell’ente di appartenenza integra un illecito amministrativo; l’importo della relativa sanzione, peraltro, potrebbe essere imputato al sindaco stesso che abbia deliberatamente omesso di rendere nota la propria posizione.
Sono queste le indicazioni che emergono da una decisione del Tribunale di Milano del 4 maggio 2017.
Nel caso in cui una società commerciale nomini come sindaco un dipendente pubblico, oltre all’applicazione delle disposizioni del codice civile, occorre considerare anche l’art. 53 del DLgs. 165/2001 (commi da 6 a 13), che prevede la richiesta di autorizzazioneall’Amministrazione di appartenenza per il conferimento, da parte di soggetti sia pubblici che privati, di “tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e nei doveri d’ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso”. La norma prevede talune esclusioni dall’obbligo della richiesta di autorizzazione (ad esempio, per i docenti universitari a tempo definito).
La richiesta di autorizzazione può essere effettuata dai soggetti che intendano conferire l’incarico, ma la stessa potrebbe anche derivare dal dipendente interessato.
La violazione di tale disciplina non incide sulla validità della nomina a sindaco. Essa, però, comporta, a carico della società, una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti previsti sotto qualsiasi forma per i dipendenti pubblici impiegati, la cui irrogazione spetta all’Amministrazione finanziaria sulla base dei criteri previsti, in tema di sanzioni amministrative, dalla L. 689/1981 (compresa la presunzione di colpa a carico del trasgressore, di cui all’art. 3).
Ma talune conseguenze si verificano anche in capo al sindaco dipendente pubblico. L’art. 53 comma 7, infatti, prevede che il compenso dovuto a quest’ultimo per le prestazioni svolte senza essere stato previamente autorizzato debba essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’Amministrazione di appartenenza, per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti (cfr. Cass. n. 7885/2011).
Tali ultime conseguenze, precisa il Tribunale di Milano, confermano la permanenza del rapporto privatistico e, in particolare, del diritto al compenso per le prestazioni rese in assenza di autorizzazione. Il compenso, quindi, continua a essere dovuto, ma per esso è prevista una sorta di “distrazione” in favore dell’ente di appartenenza.
Ai sensi dell’art. 18 della L. 183/2010, peraltro, i dipendenti pubblici possono essere collocati in aspettativa, senza assegni e senza decorrenza dell’anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali. L’aspettativa è concessa dall’Amministrazione, tenuto conto delle esigenze organizzative, previo esame della documentazione prodotta dall’interessato. Nel periodo di aspettativa non si applicano le disposizioni in tema di incompatibilità di cui all’art. 53 del DLgs. 165/2001.
A fronte di tutto ciò, nel caso affrontato dal Tribunale di Milano – connotato dalla carenza di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza a un proprio dipendente circa l’assunzione della carica di sindaco in una srl e da una successiva concessione di aspettativa – il rapporto si era comunque validamente instaurato con l’atto di nomina e, come tale, si era protratto secondo le proprie regole privatistiche. Ne derivavano, innanzitutto, le conseguenze sanzionatorie sopra evidenziate nei confronti della società commerciale che aveva provveduto alla nomina. A questa, infatti, veniva comminata la sanzione del doppio degli emolumenti previsti; sanzione pagata, in misura ridotta, per l’importo di circa 48.000 euro.
Ma ne discendeva anche il legittimo diritto del sindaco a percepire il compenso per il periodo nel quale l’autorizzazione non risultava più necessaria per essere stato il dipendente collocato in aspettativa; e, quindi, il compenso per le prestazioni svolte non era destinato a essere “distratto” in favore dell’ente di appartenenza. Viene, quindi, accolta la richiesta di condannare la società al pagamento dei compensi per tale periodo (per circa 50.000 euro).
Sennonché, la società, in via riconvenzionale, aveva anche eccepito il comportamento non diligente, se non mendace, del sindaco che, nella prima riunione del collegio sindacale, aveva dichiarato l’insussistenza di “cause di ineleggibilità e di decadenza previste dal codice civile, da leggi speciali, o dallo statuto” e di qualsiasi altro “impedimento”. Stante la negligenza/decettività imputata al dipendente/sindaco, gli viene, quindi, imputato l’importo della sanzione comminata alla società, con conseguente condanna della società a pagare solo la differenza di 2.000 euro.
Rispetto a ciò, nessun rilievo presenta il fatto che, normativamente, la prima obbligata alla richiesta di autorizzazione appaia essere proprio la società; dal momento che questa, a fronte dell’affidamento ingenerato dalle dichiarazioni del sindaco neo-nominato, aveva, senza colpa, ritenuto perfezionato il rapporto organico senza necessità di alcun ulteriore adempimento.