Responsabile l’amministratore nel caso di un infortunio occorso al titolare di una ditta subappaltatrice
Gli obblighi e le responsabilità sulla prevenzione degli infortuni in presenza di contratti di appalto si riversano inevitabilmente su diversi soggetti, coinvolgendo discipline differenti in materia civile, penale e giuslavoristica.
Nell’ambito della sicurezza sul lavoro, la disciplina dei contratti di appalto – come quella dei contratti di opera e di subappalto – è molto rigorosa, dimostrando la volontà del legislatore di rendere sicuro al massimo livello l’ambiente di lavoro, con conseguente estensione dei soggetti onerati della “posizione di garanzia” (art. 26 del DLgs. 81/2008). A tal fine, il destinatario degli obblighi di prevenzione è garante sia dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità del prestatore di lavoro sia, in presenza di un rapporto contrattuale d’opera, della persona estranea all’ambito della sua impresa.
La Corte di Cassazione – nella sentenza n. 52129 depositata ieri – ha ripreso alcuni principi in questa materia, affrontando un caso relativo all’infortunio occorso a un autotrasportatore, titolare di una ditta individuale, che effettuava la spola tra due aziende con cassoni di ferro in virtù di un contratto di subappalto.
In pratica, una società per azioni si avvaleva, per i trasporti, di una ditta che, a sua volta, subappaltava la commessa a piccole imprese, tra cui quella dell’infortunato. Nell’effettuare le operazioni di scarico, l’autotrasportatore era stato schiacciato tra tre cassoni che erano scivolati dal camion procurandosi lesioni gravissime (ai sensi dell’art. 590 c.p.) e gli accertamenti giudiziali avevano evidenziato le pessime condizioni di tali contenitori e della loro sistemazione (effettuata da altra ditta appaltatrice).
La sentenza in esame afferma la responsabilità anche dell’amministratore della società che appaltava i lavori per non aver effettuato la valutazione dei rischi connessi alle operazioni di carico/scarico dei cassoni con carrelli elevatori. Viene, infatti, sostenuto che non rileva, ai fini dell’affermazione della responsabilità, la posizione di dipendente della vittima dell’infortunio, posto che l’osservanza degli obblighi di sicurezza imposti dalla legge prescinde dalla qualità di lavoratore subordinato dell’infortunato, potendo la parte lesa essere anche del tutto estranea al ciclo produttivo dell’impresa in cui si è verificato l’evento, purché frequenti l’azienda per motivi collegati in qualunque modo all’attività della stessa.
Circa la rilevanza delle eventuali condotte negligenti o imprudenti riferibili al soggetto infortunato, viene ribadita la centralità del concetto di rischio (e di monitoraggio e controllo dello stesso da parte del datore di lavoro o dell’appaltatore) rispetto a un contesto inevitabilmente pericoloso in cui va comunque garantita la sicurezza degli operatori. Per ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il garante è il soggetto che gestisce il rischio e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l’illecito qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria. Il DLgs. 81/2008 è la fonte normativa che consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, che, conseguentemente, può fondare la responsabilità anche di natura penale nel caso di condotte colpose.
I reati di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro possono integrare anche la responsabilità delle persone giuridiche ai sensi dell’art. 25-septies del DLgs. 231/2001. Tale responsabilità è connessa all’accertamento di un interesse o un vantaggio dell’ente, sulla cui corretta identificazione dottrina e giurisprudenza dibattono sin dall’introduzione della normativa in questione.
È stato, così, affermato che ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiaresui costi d’impresa (Cass. n. 24697/2016).
Va anche ricordato che l’ente può evitare di incorrere in sanzioni laddove abbia, tra l’altro, adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire i reati in materia di antinfortunistica, anche alla luce dei criteri individuati dall’art. 30 del DLgs. 81/2008.
Nel caso di specie, la Cassazione conferma la condanna della società a 40.000 euro precisando che si è trattato di condotta tenuta nell’interesse della società, che avrebbe dovuto affrontare oneri e costi aggiuntivi per adeguare i cassoni e che non ricorrono le condizioni di esonero di responsabilità previste dall’art. 6 del DLgs. 231/2001, dato che non era stato adottato alcun modello organizzativo idoneo a prevenire reati come quello oggetto del procedimento.