Anche le componenti reddituali qualificate sconteranno la ritenuta o l’imposta sostitutiva come quelle non qualificate

Di GIANLUCA ODETTO

Con l’art. 88 del disegno di legge di bilancio 2018, che ha appena iniziato il proprio iter parlamentare, si prospetta una equiparazione di fatto della tassazione delle componenti reddituali (dividendi e plusvalenze) relative alle partecipazioni qualificate e non qualificate.

Le misure contenute nel disegno di legge sono finalizzate ad assoggettare a tassazione nella misura del 26% (con ritenuta a titolo d’imposta per i dividendi e imposta sostitutiva per le plusvalenze) tutte queste componenti, in modo indipendente dall’entità della partecipazione detenuta, sottraendo quindi dividendi e plusvalenze di natura qualificata dalla tassazione progressiva IRPEF.

Esse si giustificano alla luce della considerazione per cui, nel tempo (e in modo speculare alla riduzione dell’aliquota dell’imposta sulle società), si è passati da forme di tassazione tendenzialmente divergenti tra le due fattispecie (12,50% per le componenti reddituali non qualificate, ovvero tassazione progressiva IRPEF nel limite del 40% del provento per le componenti qualificate) a una sostanziale equivalenza(anzi, nell’attuale contesto le partecipazioni non qualificate scontano in capo al socio una tassazione superiore a quelle qualificate), ragione per cui non risulta più necessario prevedere regimi differenziati.

Dal punto di vista della tecnica normativa, non si è proceduto a sopprimere la categoria delle partecipazioni qualificate (la cui definizione permane, infatti, nel testo dell’art. 67 comma 1 lett. c) del TUIR), ma più semplicemente a prevedere anche per tali partecipazioni il regime di tassazione delle partecipazioni non qualificate, queste ultime tuttora oggetto di criteri definitori autonomi.

Il fatto che le partecipazioni non qualificate continuino ad esistere come categoria a sé consente, ad esempio, di mantenere inalterata l’esenzione da imposta sostitutiva per i capital gain realizzati dai non residenti ai sensi dell’art. 5 comma 5 del DLgs. 461/97, riservata alle sole plusvalenze di cui all’art. 67 comma 1 lett. c-bis) del TUIR (e alla condizione che il cedente risieda in uno Stato o territorio ricompreso nella white list).

Il regime della tassazione secca del 26% non è, ad ogni modo, l’unico applicabile neanche a seguito delle prospettate modifiche. “Resiste”, infatti, la tassazione progressiva IRPEF (e nella misura del 100%) per le plusvalenze realizzate su partecipazioni in società estere a regime fiscale privilegiato (art. 68 comma 4 del TUIR) e per i dividendi provenienti dalle medesime società (art. 47 comma 4 del TUIR).

In estrema sintesi, vi saranno per ciascuna delle due componenti reddituali due sole masse, quella delle partecipazioni (qualificate e non) relative alle società “ordinarie”, tassata nella misura del 26%, e quella delle partecipazioni (anche in questo caso qualificate e non) relative alle società a regime fiscale privilegiato, tassata in misura integrale.

Per le pluvalenze nuovo regime dal 2019

Quanto alla decorrenza delle nuove disposizioni, esse si applicano ai dividendi percepiti dal 1° gennaio 2018 e alle plusvalenze realizzate dal 1° gennaio 2019; per tutte le plusvalenze realizzate nel 2018, quindi, continueranno ad applicarsi le previgenti regole.

Per i dividendi è, però, prevista un’apposita disciplina transitoria, contenuta nell’art. 88 comma 8 del disegno di legge. Essa prevede che alle distribuzioni di dividendi di natura qualificata deliberate tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2022 e aventi a oggetto utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017 continuino ad applicarsi le norme del DM 26 maggio 2017.

Obiettivo della disposizione dovrebbe essere quello di salvaguardare, nel periodo transitorio di cinque anni che va dal 2018 al 2022 (e potenzialmente anche oltre, valendo a questi fini la data della delibera e non quella di distribuzione), la più favorevole tassazione del socio che deriva dall’adozione delle vecchie regole.

Il funzionamento della disposizione non risulta, tuttavia, chiaro, in quanto:
– da una parte, il DM 26 maggio 2017 disciplina i soli utili formatisi nel 2017, tassati nel limite del 58,14% del relativo ammontare (menzionando gli utili “ante 2017” ai soli fini delle indicazioni da fornire in dichiarazione);
– sotto un diverso profilo, l’art. 88 comma 8 del Ddl. di bilancio 2018 assoggetta al regime transitorio gli utili prodotti “fino” al 2017, e quindi in teoria anche quelli prodotti in data più remota.

La prima soluzione (quella, cioè, di assoggettare al regime transitorio i soli utili prodotti nel 2017) lascerebbe inalterata sine die la tassazione nel limite del 40% o del 49,72% dei proventi di più remota formazione. Qualora, invece, la soluzione corretta fosse la seconda vi potrebbe essere un interesse più sensibile – limitando, chiaramente, l’analisi ai profili fiscali – a deliberare distribuzioni straordinarie nel quinquennio 2018-2022, per beneficiare di un livello impositivo sensibilmente ridotto rispetto al nuovo standard del 26%, in special modo per gli utili ante 2008, imponibili nel limite del 40% del relativo ammontare.