Il reato commesso da soggetti apicali o dipendenti è solo uno degli elementi che formano l’illecito da cui deriva la responsabilità della persona giuridica
Il rapporto tra la responsabilità penale delle persone fisiche e la responsabilità dell’ente ai sensi del DLgs. 231/2001 deve essere accertato alla luce del caso concreto. Così la Corte di Cassazione rinvia a un nuovo esame l’assoluzione di una srl per un reato di corruzione commesso a suo interesse e vantaggio, con la sentenza n. 49056 depositata ieri.
Nel caso di specie era stata pattuita, con diversi pubblici ufficiali, la ricezione di 870.000 euro (dei quali 391.000 effettivamente versati) nonché la cessione a questi di parte di un terreno, quale corrispettivo per la modificazione della destinazione d’uso di due aree di proprietà di una società a responsabilità limitata, in violazione dei doveri di imparzialità e correttezza della Pubblica Amministrazione tutelati dall’ordinamento penale. Tali condotte sarebbero state commesse nell’interesse e vantaggio della suddetta società, ragion per cui nel giudizio di merito era stato contestato anche l’illecito amministrativo dipendente da reato di cui all’art. 25 del DLgs. 231/2001.
Con riferimento a tale contestazione, tuttavia, la Corte d’Appello aveva assolto l’ente come conseguenza dell’assoluzione per insussistenza del fatto di alcuni imputati persone fisiche per il reato di corruzione. L’automatismo stabilito tra l’assoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto, per la ritenuta insussistenza di quest’ultimo, e la esclusione della responsabilità dell’ente per la sua commissione – secondo la Cassazione – si rivela, però, in questo caso illegittimo e “manifestamente illogico”. Infatti, l’assoluzione di uno solo dei pubblici ufficiali, indicati nella imputazione quali soggetti corrotti, non è sufficiente all’assoluzione della società; anche perché la contestazione dell’illecito amministrativo formulata nei confronti dell’ente stesso non aveva ad oggetto esclusivamente le condotte corruttive poste in essere da costui.
Su un piano più generale, la Cassazione ricorda come il DLgs. 231/2001 – consapevolmente rifiutando un criterio di imputazione fondato sulla responsabilità “di rimbalzo” dell’ente rispetto a quella della persona fisica – ha previsto che l’illecito amministrativo ascrivibile alle persone giuridiche non coincida con il reato, ma costituisca qualcosa di diverso che addirittura lo ricomprende.
In tale prospettiva interpretativa, accolta anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 218/2014, il reato che viene realizzato dai soggetti apicali dell’ente, o dai suoi dipendenti, è solo uno degli elementi che formano l’illecito da cui deriva la responsabilità della persona giuridica. Questa costituisce una fattispecie complessa in cui il reato rappresenta il presupposto fondamentale accanto alla qualifica soggettiva della persona fisica e alla sussistenza dell’interesse o del vantaggio che l’ente deve aver conseguito dalla condotta delittuosa posta in essere dal soggetto apicale o subordinato (Cass. n. 2251/2011).
Nel processo nei confronti dell’ente, dunque, la commissione del delitto presupposto dovrà essere verificata dal giudice di merito alla stregua della integrale contestazionedell’illecito dipendente da reato e, pertanto, indipendentemente dalle legittime scelte processuali degli imputati che possano aver precluso la celebrazione del processo nei confronti dei responsabili del reato e dell’ente per l’illecito ad esso collegato. Ciò significa che la separazione delle posizioni di alcuni degli imputati originari per effetto della scelta dei riti alternativi non incide sulla originaria contestazione formulata nei confronti dell’ente.
Del resto, ai fini dell’integrazione del delitto di corruzione non ha rilevanza il fatto che il funzionario corrotto resti ignoto, quando non sussistono dubbi in ordine all’effettivo concorso di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio nella realizzazione del fatto, non occorrendo che il medesimo sia o meno conosciuto o nominativamente identificato (cfr. Cass. n. 3523/2012).
La sentenza in commento precisa anche che il presupposto indefettibile per l’applicazione di una sanzione nei confronti degli enti è l’esistenza di un “soggetto di diritto metaindividuale” quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici e, pertanto, è certamente ascrivibile al novero dei destinatari del DLgs. 231/2001 anche la società unipersonale, in quanto soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote (come precisato da Cass. n. 18941/2004 nell’escludere, invece, la possibile responsabilità delle imprese individuali).
Nella medesima prospettiva, nemmeno il fallimento della società può determinare l’estinzione dell’illecito o delle sanzioni irrogate all’ente (Cass. SS.UU. n. 11170/2015). Così argomentando, i giudici di legittimità annullano l’assoluzione nei confronti della srl “imputata”, rinviando al giudice di merito per un nuovo, più approfondito, giudizio.