L’omessa dichiarazione non è una «frode» ai fini della disapplicazione della prescrizione
I termini di prescrizione nell’ambito dei reati tributari continuano a sollevare irrisolte questioni, oggi alimentate anche dalle recenti modifiche introdotte dalla L. 103/2017.
Nel caso preso in considerazione da una sentenza della Corte di Cassazione depositata ieri – la n. 45751 – era stato contestato il reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5del DLgs. 74/2000, in relazione all’evasione dell’IVA, per 155.700 euro, e dell’IRPEF, per 151.116 euro.
L’evasione era, però, riferibile all’anno 2006 e pertanto era stata dichiarata estinta per prescrizione.
Va, infatti, ricordato che la prescrizione determina l’estinzione del reato a seguito del trascorrere di un determinato periodo di tempo, secondo quanto disciplinato dagli artt. 157 e ss. c.p. Per quanto riguarda i reati tributari, in particolare, i termini previsti da tale disciplina generale sono elevati di un terzo in relazione ai delitti previsti dagli artt. da 2a 10 del DLgs. 74/2000 (art. 17 comma 1-bis del DLgs. 74/2000).
Alla luce di tale calcolo, l’omessa dichiarazione contestata nel caso di specie risultava prescritta già nel corso del giudizio di merito. Il Procuratore generale presso la Corte d’appello ha, tuttavia, proposto ricorso per Cassazione, invocando l’inapplicabilità del termine prescrizionale in forza della pronuncia della Corte di Giustizia nell’ormai noto “caso Taricco” (causa C-105/14), come recepita anche da parte della giurisprudenza italiana (Cass. n. 2210/2016).
I giudici di Lussemburgo hanno, in effetti, affermato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione europea della normativa italiana sulla prescrizione dei reati in materia di frodi IVA, chiedendo, pertanto, ai giudici nazionali di disapplicare la disciplina relativa al termine massimo di prescrizione previsto dall’art. 161 comma 2 c.p. Mutuando le parole della Corte di Giustizia, la normativa in questione è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri, nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive “in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea”.
Non è possibile ripercorrere qui il dibattito dottrinale e giurisprudenziale suscitato da questa sentenza. Vale, però, la pena tornare sulla nozione di “frode grave” e, conseguentemente, sull’ambito di operatività di un’eventuale disapplicazione.
La Corte di Cassazione – nella sentenza oggi in commento – evidenzia, infatti, come il reato di omessa dichiarazione per una singola annualità difficilmente possa ritenersi una “frode”, concetto che, invece, implica una “necessaria decettività” (in senso contrario, Cass. n. 12160/2017).
Inoltre, le “frodi” prese in considerazione dal giudice Ue sono necessariamente quelle connesse all’IVA, in quanto rilevanti per gli interessi finanziari dell’Unione. Per tale ragione l’evasione IRPEF del caso di specie non potrebbe comunque essere presa in considerazione per valutare la gravità del fatto.
Proprio a proposito della “gravità”, la Cassazione ricorda che il parametro di riferimento è rappresentato dal complesso dei criteri descritti nell’art. 133 comma 1 c.p.: natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione; gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; intensità del dolo o grado della colpa.
Ne consegue – secondo i giudici di legittimità – che, ove non si sia in presenza di un danno già di rilevantissima gravità, appaiono necessari, per ritenere sussistente tale requisito, ulteriori elementi, quali, in particolare, l’organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti all’illecito, l’utilizzazione di “cartiere” o società schermo, l’eventuale interposizione di persone o l’esistenza di un contesto associativo criminale.
Anche la nozione di “numero considerevole di frodi”, evidenziata dalla Corte di Giustizia, deve essere valutata non in astratto, ma in concreto, cioè in riferimento alle fattispecie oggetto del singolo giudizio, potendosi ritenere sufficiente una singola frode “solo qualora questa sia di rilevantissima gravità” (cfr. anche Cass. n. 7914/2016).
In queste valutazioni gioca un ruolo importante, altresì, la previsione di soglie di punibilità. Nel caso di specie, tra l’altro, la Cassazione non sembra ritenere “grave” un superamento di circa 100.000 euro rispetto alla soglia (applicabile retroattivamente anche ai fatti del 2006) di 50.000 euro.
È da evidenziare, infine, il richiamo al principio di irretroattività che si trova nella pronucia in esame. A prescindere dalla questione sull’applicabilità dei principi affermati dalla sentenza Taricco, la Cassazione respinge il ricorso del Pubblico Ministero anche sulla base del fatto che le condotte contestate sono anteriori all’intervento della Corte di Giustizia.
Il tema resta, comunque, molto dibattuto e si attende sul punto una nuova pronuncia del giudice europeo, da valutare anche rispetto ai nuovi termini introdotti dalla parziale riforma della sospensione della prescrizione (nuovo art. 159 c.p.).