Il DM 3 agosto 2017 prevede che rilevino invece da subito le riduzioni di patrimonio netto legate all’eliminazione dei costi non più capitalizzabili

Di GIANLUCA ODETTO

Le nuove disposizioni attuative sull’ACE (DM 3 agosto 2017) contengono una norma specifica sui costi di ricerca e di pubblicità che potrebbe determinare effetti di rilievo sull’agevolazione.
L’art. 5 comma 7 del decreto prevede, infatti, che, ai fini della variazione in aumento rileva l’eliminazione dei costi di ricerca e di pubblicità capitalizzabili operata in sede di prima adozione dei nuovi OIC.

A commento della norma, di non semplice interpretazione (si menziona, infatti, una variazione in aumento, quando lo storno di tali costi determina una riduzione del patrimonio netto), la Relazione al DM 3 agosto 2017 chiarisce che lo storno di questi costi comporta un effetto immediato sulle riserve di patrimonio netto, il quale si riflette sulla dinamica delle future componenti di reddito che si generano (assenza di ammortamenti): per questo motivo, “si è ritenuto opportuno considerare rilevanti nel calcolo della variazione del capitale proprio le rettifiche operate in sede di prima adozione, garantendo contestualmente la rilevanza (o l’assenza di peso) dei reversal futuri”.

La norma dovrebbe, quindi, essere interpretata nel senso per cui la riduzione immediata della base ACE dovuta all’utilizzo delle riserve di patrimonio netto in contropartita dello storno verrebbe controbilanciata, negli anni successivi, dai maggiori utili che derivano dai minori ammortamenti operati dall’impresa, se accantonati a riserva.

Un esempio può chiarire la questione: se la società ha sostenuto costi di ricerca nel 2014 per 1.000, ammortizzati in 5 anni, si ritrova a dover annullare nel bilancio 2016 un ammontare di spese di ricerca per 600, utilizzando allo scopo riserve di patrimonio netto per uguale ammontare, che andrebbero a riduzione della base ACE. Questa diminuzione verrebbe, però, compensata dal maggior utile che si produrrebbe negli anni 2016, 2017 e 2018 per effetto dei minori ammortamenti (200 per ciascun esercizio).
Questi maggiori utili, peraltro, non sconterebbero imposta, e andrebbero quindi computati in misura piena, in quanto ai fini fiscali il piano di ammortamento continua così come se lo storno delle spese non fosse stato operato, e quindi la parte di reddito corrispondente ai minori ammortamenti verrebbe controbilanciata da una variazione in diminuzione di pari importo.

Se questa interpretazione è corretta, occorreranno chiarimenti specifici in merito alla concreta applicazione della norma, in quanto il timing dell’ACE è, di fatto, sfalsato di un anno rispetto ai periodi d’imposta in cui gli utili sono prodotti. Dovrà, in particolare, essere chiarito se lo storno delle riserve utilizzate (nell’esempio, 600) sia imputabile al 2016, anche se non vi è stata alcuna attribuzione di patrimonio netto ai soci, o si rifletta al contrario sul 2017, sotto forma di minore riserve di patrimonio netto rilevanti ai fini ACE.

Da valutare i riflessi delle clausole di salvaguardia

La norma in questione deve, peraltro, essere coordinata con quella contenuta nell’art. 12 comma 1 del DM 3 agosto 2017, che consente ai contribuenti di non applicare, per il 2016, le disposizioni del decreto stesso riguardanti il coordinamento con i nuovi principi contabili (e la disciplina dei riflessi fiscali dello storno dei costi pluriennali è, chiaramente, tale).

Se la riduzione di patrimonio netto risultasse imputabile al 2016 vi potrebbe, quindi, essere la possibilità di non applicare l’art. 5 comma 7 del decreto, non riducendo la base ACE in misura pari allo storno delle spese pluriennali e non considerando, nei periodi d’imposta successivi, gli effetti dei reversal. Ciò dovrebbe tradursi, in pratica, nel dover considerare nei periodi d’imposta successivi non gli utili effettivamente accantonati, ma i minori utili che sarebbero stati accantonati se lo storno dei costi pluriennali non fosse mai avvenuto.

Da un punto di vista operativo, questa scelta comporta un’attenta gestione contabile (anche se, va detto, questa risulterebbe già necessaria in virtù delle variazioni extracontabili relative agli ammortamenti, calcolati ai fini fiscali sul valore lordo del costo).
Potrebbero, però, risultare dei vantaggi: la riduzione della base ACE per il 2016 comporta, infatti, un minor vantaggio determinato con il coefficiente del 4,75%, mentre i maggiori utili che derivano dai minori ammortamenti garantirebbero vantaggi calcolati con i più bassi coefficienti dell’1,6% e dell’1,5%; in questo contesto, fermo restando che la nuova disposizione necessita dei dovuti chiarimenti, probabilmente la rinuncia alla sua applicazione da subito, sfruttando la clausola di salvaguardia dell’art. 12 del decreto, potrebbe in più contesti risultare vantaggiosa.

Qualora, invece, le modalità applicative della nuova disposizione comportino un effetto diminutivo sul 2017, il problema non si porrebbe, in quanto il 2017 non è “coperto” dalla clausola di salvaguardia riguardante l’adozione dei nuovi OIC.